Questo è il libro dei libri, un capolavoro del Novecento insuperato. La scrittura è ricca di significati, densa di riferimenti colti espliciti e non, un testo pieno di profondissime riflessioni. La trama è intrigante ed avvincente, piena di piccoli dettagli affascinanti; i personaggi, psicologicamente complessi, sono delineati in maniera conturbante. Si parla di genialità, si parla di estro artistico. La scrittura di Thomas Mann è qui raffinatissima, talvolta impegnativa, sicuramente porta arricchimento al lettore. Un libro imprescindibile.
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ANDREA SARTORE 29 gennaio 2012
E' una sorta di malattia quella che affligge l'uomo di fronte al secolo breve. Un male interiore che corrode anche l'animo più benevolo. Un secolo che pretende di arrivare a comprendersi e, perciò, a controllarsi nel modo più razionale possibile, con le due guerre mondiali, storicamente, con l'avvento della dodecafonia e dell'etno-musicologia nel campo musicale. La ragione filosofica e la tonalità classica scoprono... scoprono di non essere che burattini, stupide "forme pirandelliane". Il collassare di un mondo ormai al crepuscolo, quello borghese e liberale che, come già aveva intuito Baudelaire con mezzo secolo di anticipo, sarebbe annegato sotto le contraddizioni nascoste sotto le maschere dell'abitudine e del "buon costume". E' così che il genio astratto e distaccato di Adrian Leverkhün, tentato dal diavolo e carezzato dal segreto della Musica Assoluta, accetta di scendere agli inferi della maledizione ed esserne inghiottito impietosamente e dignitosamente - alla fine - per non vedere altro che nulla e "confutatio", il limite di una "forma mentis" che nessun'altro vuole ammettere, ma subisce passivamente e inconsapevolmente. Non è eroismo romantico o decadente, la musica non apre nessun mondo "altro" o scrigno di sensazioni: suonerebbe patetico - alla maniera del raffinato amico e biografo Serenus Zeitblom, retorico e forse neppure attendibile -. E' la presa di coscienza dell'uomo fattosi "in-con-sistenza" e "immobilità", "preda" di un universo caotico e di forze misteriose. Leverkhün confessa con la musica e con la vita quel male che divora la "buona società" attorno a lui, infetta da invidie, gelosie e continue competizioni, che non portano ad altro se non a gesti irrazionali e inattesi. Fine di un umanesimo immaturo e poco lungimirante, dimentico di sè stesso. Fine di un tempo che vede l'essere capace di essere attivamente "definito" e "pre-definito", destinato ad implodere sotto il maglio del totalitarismo e delle proprie incoerenze. Mann racconta con un vero "masterpiece" il Novecento come cambiamento estremo di sensibilità rispetto ad un mondo in cui l'artista si riduce a parlare "sottovoce" - come avrebbe detto Montale - , a fare morire la propria "Lamentatio" in un eclatanete "pianissimo" sinfonico. Sarà forse proprio in questo vedersi sparire e "an-nullarsi" la dignità dell'arte? Sconcertante e visionario. Dannatamente, dannatamente moderno.
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EMILIANA GIANNINI 04 settembre 2010
Il romanzo di Thomas Mann si presenta come un libro denso di sentimento e passione, che ha il potere di far ruotare intorno al personaggio principale, il musicista Leverkhun, una miriade di altre figure, che dalla loro apparente marginalità storica, passano a significare esempi di forte espressione emozionale. Le loro vite sembrano risentire dell'inevitabile influenza carismatica dell'eccentrico protagonista, disposto, per la gloria artistica, a votarsi al diavolo, sacrificando ogni altro bene e rinunciando all'amore puro e incondizionato. I singoli capitoli sono come le strofe di una musica sinfonica che coinvolgono, trasportano e immedesimano il lettore all'interno del racconto, proiettando su di sé i diversi e contrastanti stati d'animo che lo caratterizzano. Il tutto sullo sfondo della triste vicenda storica di una Germania nazista, in conflitto, non solo col resto del mondo, ma soprattutto con se stessa, con la sua ambiguità spiazzante. Un vero capolavoro del Novecento che non può e non deve restare nel dimenticatoio della letteratura internazionale.
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