Sono schiaffi quelli che la protagonista, Nerina, ti infligge con la sua diversità dell’anima, prima che del corpo. Quasi che quelle sei dita ai piedi fossero un vessillo di difformità, un lasciapassare per la sua turbolenta inquietudine. Additata come diversa, lei diversa lo è davvero, ma non per quelle minuscole appendici di carne in più. Il muro di anaffettività che erige a separarla dal mondo è molto più robusto di quelle sei dita, è un nido per proteggerla dal baratro dei sentimenti, perché non la travolgano come anni prima hanno annullato l’esistenza della madre, troppo debole, o troppo forte, per una vita che non le apparteneva e che decide di lasciare sospesa nel vuoto, a piedi nudi, perché è a piedi nudi che si va incontro all’altrove. Nerina cresce smaniosa di liberarsi di una purezza che pensa non le appartenga e che forse la identifica più di quanto creda. La prigionia di quei piedi nascosti agli sguardi rapaci della gente libera, per contrasto, la sua voglia di emergere, la sua eccentrica bellezza, il suo talento per la scrittura e la recitazione. Perché sono le arti che le consentono di vivere la vita che vorrebbe, di riempire i vuoti che nemmeno l’amorevole Annina prima e la muta Natalina dopo riescono a colmare. Scrivere e recitare sono il suo antidoto alla vita reale, per costruirne una immaginaria dove i personaggi sono mossi dai fili della sua sapiente regia. Ed eccoli sfilare, come in una lugubre messinscena, il ricco rampollo Mauro, che insegue tutta la vita la morte, trovandola come liberazione amica; Emmanuel, che per meglio interpretare la finzione del ruolo che gli è stato assegnato metterà in pratica, con un intervento chirurgico non necessario, un’altra finzione; e infine il Professore, il personaggio più surreale, più affascinante, più respingente. Quel romanzo di una bambina cullata senza ninna nanna, quel romanzo che “molesta chi lo legge”, ma lo ridesta alla rinnovata consapevolezza che quella di Silvana Grasso è una penna benedetta.
La domenica vestivi di rosso
Non è un maschio Nerina, non ha cinque dita per piede come tutti i neonati, ma sei. Non la cresce la sua giovanissima madre di sangue, ma due grasse quasi madri, una col diabete, l’altra senza. Nascondere le dita dei piedi che, nell’immaginario del suo paese, di anno in anno diventano dieci, venti, cinquanta, è la sua prima prova di forza e resistenza al mondo. La seconda, quasi epica, è ammettere che, nonostante la sua bellezza, innegabile quanto la sua sensualità, sono solo i suoi piedi il polo d’attrazione per i maschi. Tutti vogliono, sempre e solo, cominciare dalla svestizione dei suoi piedi per poi magari, svelato l’enigma, non procedere oltre. Quel punto di debolezza, ad arte enfatizzato dal mistero, diventa il magnete con cui, invece, concupire e sedurre, secondo un progetto quasi cinematografico, di cui Nerina scrive il canovaccio negli anni della sua adolescenza, al liceo classico, e dopo, negli anni dell’università a Catania: anni in cui dal Nord veniva sganciato in Sicilia il Sessantotto come una bomba in tempi di guerra. Nerina seduce, recitando il copione di lolita, Mauro, Emmanuel, Giancarlo, più uomini che ragazzi, non cercando mai l’amore, ma recitandolo l’amore, sul miserabile set della provincia guardona. Nella vita si tiene alla larga dai sentimenti, terreno a lei sconosciuto, terreno minato, ove saltare in aria a ogni passo. Alla vigilia della laurea lo incontra, infine, il personaggio eccezionale che da tempo braccava, invano, per il suo romanzo d’esordio. Lo chiamano «il Professore», si sa pochissimo di lui, se non che alla vigilia della sua laurea, devastato dalla schizofrenia, aveva perso la mente e l’amore della sua Nerina. A sessant’anni vive in una magnifica, persino poetica, follia col suo vecchio gatto Platone, e scrive decine di tesi di laurea per ragazzotte della provincia, mentre lavora, ancora e incessantemente, alla sua, e non intende scriverci la parola «fine», convinto filosoficamente che non si debba mettere punto mai alla Bellezza, né la si possa confinare nella parola «fine» dell’ultimo capitolo. Quell’ultimo capitolo che, anche nel romanzo di Silvana Grasso, non sembra affatto mettere fine alla Bellezza, ma solo alla magnifica storia che vi si racconta.
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Micbil 19 giugno 2024Un libro potente e disturbante
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