FANTE DI PICCHE
Salvatore Farina, scrittore e giornalista italiano, nacque nel 1846 a Sorso, in Sardegna, da Agostino Farina e Chiara Oggiano. Il padre prestò servizio come procuratore del Re di Sardegna a Tempio, a Nuoro, a Sassari; in quei centri urbani aveva amministrato la giustizia, e a Nuoro anche le carceri, fu Magistrato. La madre apparteneva a una famiglia benestante originaria di Sorso. Al seguito del padre - che si era risposato dopo la morte della madre del futuro scrittore - nel 1860 Salvatore si trasferì a Casale Monferrato. E a Casale Monferrato, Salvatore Farina creò la sua primissima opera letteraria, guidato da uno scrittore mazziniano e guerrazziano che era stato il suo insegnante di lettere italiane al Liceo, Ferdinando Bosio. Studiando al liceo, cominciò a frequentare i teatri. Resterà per sempre legato al mondo del teatro e alla lirica, sarà anche librettista. Frequentò la Facoltà di Giurisprudenza prima a Pavia e poi a Torino, dove conseguì la laurea nel 1868. Dopo la laurea sposò Cristina Sartoris e si trasferì a Milano. Visse di letteratura e giornalismo, e rimase a Milano più o meno stabilmente fino alla morte. Il suo primo volume: Cuore e blasone, fu pubblicato nel 1867. Alcune sue opere incontrarono uno straordinario successo di pubblico e di critica, e una grande fortuna all'estero, in particolare in Germania. Lo scrittore nelle sue opere aspira a stimolare la crescita delle coscienze e lascia intravedere la possibilità di una società governata da una coscienza più umana, meno spietata, meno smarrita. Fu amico di Luigi Capuana e di Giovanni Verga, ma non si potrebbe affermare che sia stato un verista. Non cercò di descrivere la realtà visibile nei suoi dettagli, tendeva alla verità che andava ricercata nella propria coscienza. Morì il 15 dicembre del 1918. Oggi vi presentiamo Fante di picche: “A ventidue anni Donato è un bel giovane bruno; sa tirar di sciabola e di pistola, caracollare con grazia sopra un cavallo, infilar come saetta le vie di Milano sul velocipede, e sa all'occorrenza camminare a piedi senza dinoccolar le gambe per far pompa d'una disadattagine che è l'ultima parola dell'arte del perfetto cavallerizzo. A ventidue anni Donato, non ostante il contagio della città dove vive da un pezzo, si è serbato figlio e fratello tenerissimo, adora la canizie del suo vecchio padre e non immagina al mondo cosa più soave della testolina bionda della sorella...”
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