(Tolentino, Macerata, 1398 - Firenze 1481) letterato italiano. Appreso il greco a Costantinopoli, insegnò a Firenze e poi a Pavia e a Milano. Polemista irriducibile e cortigiano spregiudicato, fu coinvolto in aspre lotte tra fazioni politiche e letterarie. Il suo merito principale è quello di aver contribuito a diffondere la cultura umanistica nell’ambiente lombardo. Tra le sue opere in latino si ricordano: le Satyrae (1448) e le Odae (postume, 1498), il poema incompiuto Sphortias (composto fra il 1450 e il 1473, in lode di Francesco Sforza e modellato sull’Iliade), lo zibaldone in distici De iocis et seriis (composto fra il 1458 e il 1465), il trattato De morali disciplina (cominciato nel 1473 e troncato dalla morte). Tradusse dal greco (Lisia), e in greco scrisse epigrammi ed epistole; in volgare commentò Dante, mettendone in risalto il magistero letterario e, in particolare, quello linguistico.