Il libro nero - Orhan Pamuk - copertina
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Letteratura: Turchia
Il libro nero
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Descrizione


In una Istanbul labirintica e malinconica descritta con straordinaria vivezza e precisione, un giovane avvocato, Galip, parte alla ricerca della moglie scomparsa. Prima di lasciarlo, Rüya ha scritto una lettera d'addio, e al di là delle diciannove, vaghe parole contenute nel messaggio, Galip è colpito dal fatto che la moglie abbia usato una biro verde. Una biro come quella che Galip aveva perso in mare quand'era bambino durante una gita in barca con Rüya, e che Celâl, fratellastro di Rüya, aveva inserito in una magistrale puntata della sua rubrica sul "Milliyet" dove immaginava tutti gli oggetti che sarebbero venuti alla luce "il giorno che il Bosforo andrà in secca". Tutto a Istanbul è inestricabilmente legato, e come in un sogno tutto può assumere un altro significato e ogni nome diventare pseudonimo. Celâl è un giornalista importante, amato e odiato, ma comunque molto letto. Dice di sé che avrebbe preferito occuparsi soltanto di argomenti solenni, battaglie decisive e amori infelici. Si ritrova invece a essere uno scrittore "pittoresco", impegnato in un'opera enciclopedica di ricostruzione della città, attraverso gli oggetti della modernità dai nomi occidentali e quelli polverosi e mezzi rotti della tradizione ("le cose che ci siamo lasciati alle spalle"). Ma Celâl non può aiutare Galip nella sua indagine perché è scomparso anche lui.

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Dettagli

Tascabile
510 p., Brossura
Kara Kitap
9788806197667

Valutazioni e recensioni

  • ERIK SCARPOLINI

    Al contrario di ciò che la fisica sostiene, è nero la somma di tutti i colori, di tutte le connessioni neurali che gli oggetti, i fatti, le cronache e le leggende annodano tra loro, scansandoci ai margini o avvolgendoci in un drappo luttuoso. Tale velo ci impedisce di carpire l’intimo segreto della realtà, della vita? Abbatterlo significa immedesimarsi talmente nell’altro da sé al punto di perdere sé stessi. Questo libro nero, indecifrabile, fatto di caratteri e simboli che si tracciano mentalmente sulle linee che si offrono al nostro sguardo, è ciò che ci rende noi stessi, perché una volta dipanato, non lo siamo più. Il libro nero è pervaso di oggetti passati dell’infanzia, di quando essi si osservavano e non erano semplici oggetti, ma sintomi di qualcosa d’altro, rimandavano ad un sistema completo di comprensione del proprio filtro, del codice, che all’epoca ci sembrava incompleto, mentre si reputava che nel futuro tutto si sarebbe reso palese ed evidente. La collezione di questi oggetti un giorno sarebbe stata completa consentendo di vivere nel comfort della completezza, dell’assolutezza e dell’indipendenza. Summa dei simboli, dei topoi e degli interessi di Pamuk, leggerlo dopo essere stato ad Istanbul è stato molto diverso, un’esperienza impagabile. La polvere delle strade, dei palazzi si deve depositare su questo libro nero per permetterci di decodificare i simboli di cui esso stesso è composto. Si respira un misto di Umberto Eco e Proust, nei riferimenti al mistero che pervade la realtà e la rende significativa (Il Pendolo di Focoult), nel giallo che riflette la propria soluzione mille volte in sé stesso, come uno specchio di fronte ad uno specchio (Il nome della rosa), man anche il sapore della memoria, la sua sinestesia, la sua registrazione ossessiva di dati e dettagli (La Recherche). In tutto ciò ci guida Galip e il suo specchio, il celebre ed enciclopedico Celal, in un alternarsi di capitoli che si allacciano tra loro come anelli di una catena, simili l’uno all’altro ma connessi solo nei punti terminali: dove comincia uno l’altro non può che arrestarsi e chiudersi in sé. Un libro sofisticatissimo ed elevato, che allo stesso tempo nasce da una discarica di oggetti popolari e comuni e vive dei residui della massa. Unisce filosofia e misticismo orientale alla spazzatura che costella le strade della città di Istanbul. È davvero così questa città? Si può vivere così pervasi da questo mistero autoalimentato? Si può credere a questo sogno che si dirama come una raggio di luce scomposto dal prisma della mente? Se sì, voglio esserne travolto, altrimenti ci troviamo di fronte ad un esercizio di stile di estrema caratura.

  • Questo libro è vibrante, meraviglioso. La prosa di Pamuk è davvero insondabile, ogni periodo sembra celare un mistero più grande, il suo libro nell'insieme è davvero "nero", e forse cela davvero una grande rivelazione: non è possibile anticipare molto senza rovinare almeno in parte il finale, ma Pamuk si dimostra un vero, grandissimo intellettuale, categoria che si distingue proprio per la capacità di leggere il presente e prevedere il futuro. Politico ed intimo, il personaggio più intrigante è il grande assente, Celal, che attrae Galip, noi ed il popolo turco intero a se, attraverso i magnetici, sontuosi pezzi di scrittura disseminati nel corso della sua lunga carriera di giornalista.

  • ANTONELLA LONGO

    Bello ma troppo lento per me.

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Foto di Orhan Pamuk

Orhan Pamuk

1952, Istanbul

Scrittore turco, Premio Nobel per la letteratura nel 2006. Abbandonati gli studi di architettura, esordisce con il romanzo Il signor Cevdet e i suoi figli (1982), affresco di tre generazioni ambientato nel quartiere natio di Nisantasi, con il quale ottiene grande successo; cui sono seguiti La casa del silenzio (1983) e Il castello bianco (1985), nei quali l’incontro tra un giovane veneziano e uno studioso ottomano è pretesto per affrontare quello, problematico e conflittuale, tra Oriente e Occidente. Lo stesso tema ricorre, declinato in modi diversi, anche nei più recenti Il mio nome è rosso (1998, premio Grinzane) e Neve (2002), dai risvolti più marcatamente politici. Istanbul (2003) ha affascinato per l’abile tessitura che cuce...

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