Manuale di solitudine
Che l'ultimo - ora malinconicamente postumo - romanzo di Giampaolo Rugarli si intitoli Manuale di solitudine assume inevitabilmente un valore simbolico, quasi a riassumere il suo intero percorso esistenziale e letterario; difficile infatti trovare un'insegna più pregnante del suo carattere, della tensione che segna la ricerca espressiva e contemporaneamente le scelte morali: d'altronde a questo titolo egli giunse, appunto, dopo aver scartato ogni altro descrittivo o referenziale. Se per un verso questo Manuale completa il ciclo estremo, paradossale e grottesco, della sua narrativa, che esplora con dolente furore i desolati territori della disperazione, opponendo loro un'inarrendevole fiducia nella resistenza dell'etica; per l'altro riassume la sua avventura letteraria, intrapresa di fronte alla riconosciuta "impossibilità di vivere" per riconquistare sulla pagina quanto era andato perduto nel corso del tempo, conservando intatto un radicale e inconsolabile pessimismo. La narrativa di Rugarli - i lettori di questo romanzo dovranno prenderne atto -, anche quando deforma comicamente, caricaturalmente, personaggi e comportamenti, non acquieta il tormento, anzi riaccende la rabbia e lo sdegno, i sentimenti luciferini, di un uomo dolente e ferito, la sua ribellione all'andazzo dissennato e perverso di una società che ha perduto la bussola. Il professore che racconta l'efferata sequenza di delitti che lo perseguita, sconvolgendo la quiete condominiale di una modesta e appartata senilità, deve pur riconoscere che «la solitudine è la mia estasi ma pure la mia distruzione», ma dovrà rassegnarsi a condividere le pratiche perverse di una società che non lascia alternative, perché, alla fin fine, «è meglio vedere con gli occhi che vagare con la fantasia» e la pretesa di spezzare il cerchio dell'isolamento e della solitudine rasenta inevitabilmente la follia, anzi con essa coincide nel riconoscimento «che è tutto alla rinfusa... che le sghignazzate e i singhiozzi si confondono», perché «il caos non è mai finito, ha assunto sembianze di ordine, solo per lavorare più sotto e rendersi meno riconoscibile. Comunque indomabile». «Il mondo - a immaginarlo come non è, e forse non sarà mai - si colora, si illumina, risplende» sono le ultime e definitive parole del libro. (Cesare De Michelis)
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