Finalmente. Finalmente. Finalmente. Aspettavo una protagonista come Sybylla Melvyn da innumerevoli letture. Nei romanzi ottocenteschi, per quanto si possa immaginare una ragazza controcorrente e ribelle, nessuna è come lei. Ha 16 anni, vive in una famiglia piuttosto numerosa nell'Australia patriarcale, dove il duro lavoro di campagna lascia poco tempo alla curiosità. Ma Sybylla non è come sua madre, e nemmeno come sua sorella, suo padre o i fratelli. Vuole vivere libera, assolutamente libera di pensare, di leggere, di scrivere, di dedicarsi alla musica. E non vuole affatto il compromesso di un matrimonio benestante, neanche quando le cose si mettono economicamente male. Lei vuole essere sua, di nessun altro. "Ora parli alla ragazza che porta il suo anello di fidanzamento, perché io mi degrado a non portarlo più. Se lei si illude che io pensi a lei come al grande partito che crede di essere, solo perché possiede una manciata di soldi, si sbaglia un pochino, signor Beecham, e questo è tutto. Ah, ah, ah! E così lei riteneva di potermi dare una lezione come a una che sarà la sua schiava! Io non ho mai avuto la minima intenzione di sposarla. Lei è sempre stato così pieno di sé che io ho solo cercato di grattarle via un po' di presunzione. Sposarla! Ah, ah! Poiché le leggi sociali sono formulate in modo che la sola sfera di una donna sia il matrimonio, e poiché le ragazze cercano di assicurarsi un uomo che dia loro un'agiatezza un poco superiore, non ve la potete cavare con l'idea che siate voi che loro cercano di accalappiare, quando non siete che la fastidiosa appendice che debbono tollerare, a causa di ciò che possedete. E non dovete pensare che perché qualche donna si sposa per accasarsi lo facciano tutte".
