Pietre di pane. Un'antropologia del restare - Vito Teti - copertina
Pietre di pane. Un'antropologia del restare - Vito Teti - copertina
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Letteratura: Italia
Pietre di pane. Un'antropologia del restare
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Descrizione


Attraverso racconti, memorie, note di viaggio e riflessioni, che si fondono in un romanzo antropologico ambientato tra la Calabria e il Canada, Vito Teti ricostruisce la complessità della «restanza», senza nessun cedimento a un’estetica dell’immobilismo e con una sofferta interrogazione sul senso dell’erranza nell’epoca della modernizzazione globale.

«Quella di Vito Teti, da sempre, è una vibrante e calorosa ricerca, un’analisi non fredda, di chi ama, fino in fondo, l’anima dei propri paesi. È uno scovare nella terra calpestata da uomini e donne che l’hanno vissuta, per portare a galla la verità. Senza mai, però, la falsa identità retorica di chi vuole compiacersi, per forza e comunque.» - Corriere del Mezzogiorno

«Un libro che ti cattura e ti porta passo passo, in giro per i luoghi dello scrittore, raccontando magistralmente la complessità della “restanza”, facendoci scoprire che “l'essere rimasto, non è atto di debolezza né atto di coraggio, è un dato di fatto, una condizione, ma anche l'esperienza dolorosa e autentica dell'essere sempre fuori posto”. » - Conquiste del Lavoro

«A volte i sassi hanno forma di pane. Bisogna vederli, a una svolta di una strada biancheggiante, cumuli di sassi che sembrano pani. Sono i sassi dei torrenti, arrotondati e dorati. La prima idea è quella del pane. Poi della pietra. E la fantasia oscilla tra questi due estremi. Sono i mucchi dei sassi trasportati dal greto dei torrenti e ammucchiati per fabbricare la casa.» - Corrado Alvaro, Pane e pietre

Nulla più dell’idea del «restare» potrebbe apparire estraneo alla storia del sapere etnografico. Restare sembra l’antitesi del viaggiare, del mettersi in discussione, della disponibilità al disordine, alla scoperta, all’incontro.
Ma davvero l’idea e la pratica del restare sono inconciliabili con l’esperienza antropologica? E, soprattutto, è possibile pensare un viaggiare separatamente dall’esperienza del restare, e davvero il restare va accostato all’immobilità, alla scelta di non incontrare l’alterità e di non fare i conti con la propria ombra, il proprio doppio? Restare è difendere un appaesamento o esiste anche una maniera spaesante di restare che, a volte, può risultare più scioccante del viaggiare?
L’avventura del restare – la fatica, l’asprezza, la bellezza, l’etica della «restanza» – non è meno decisiva e fondante dell’avventura del viaggiare. Le due avventure sono complementari, vanno colte e narrate insieme.
Restare, allora, non è stata, per tanti, una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità; restare è stata un’avventura, un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica e un dolore. Senza enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare.

Dettagli

8 ottobre 2014
188 p., Rilegato
9788874626625

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Vito Teti

Vito Teti è professore ordinario di Antropologia culturale dell’Unical, dove ha fondato e dirige il Centro di iniziative e ricerche «Antropologie e Letterature del Mediterraneo». Tra le sue pubblicazioni: Il senso dei luoghi (Donzelli, 2004; III ed. 2014); Storia del peperoncino (Donzelli, 2007); La razza maledetta (Manifestolibri, 2011); Maledetto Sud (Einaudi, 2013); Pietre di pane (Quodlibet, 2014); Terra inquieta. Per un’antropologia dell’erranza meridionale (Rubbettino, 2015); Fine pasto. Il cibo che verrà (Einaudi, 2015); Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni (Donzelli, 2017).

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