Con una principessa del Dahomey vestita da uomo, un bambino nascosto in una cesta di erbe intrecciate e un pappagallo in una gabbia di vimini, il marinaio Targett sbarca nel porto di Southampton, verso la metà dellOttocento. In Africa aveva cavalcato coccodrilli, ora vuole aprire unosteria e vivere anni abitudinari e tranquilli. Losteria si chiamerà «Il ritorno del marinaio». Ma nella quieta campagna del Dorset si cela uninsidia più temibile di quegli animali da preda che Tulip, la principessa nera, crede di vedere appostati dietro ogni siepe. E a poco a poco si chiuderà la trappola su questa ultima «buona selvaggia», la cui vita è passata oscillando tra la feroce morte sacrificale nel suo regno africano e il lento avvelenamento prodotto dallodio e dalla persecuzione entro la verde cornice della campagna inglese.
Figlio di Edward Garnett, e perciò nato nel cuore della vita letteraria inglese, figura dellambiente di Bloomsbury e dei neopagani, David Garnett raggiunse lapice della sua arte negli Anni Venti, quando apparvero a breve distanza i suoi libri più perfetti: La signora trasformata in volpe (1922), Un uomo allo zoo (1924) e questo Ritorno del marinaio, che è del 1925. Garnett definiva la sua arte «realismo poetico». Ma la descrizione più precisa di essa la diede forse T.E. Lawrence in una lettera allamico: «Devi avere ben chiaro che ti trovi al di fuori del movimento realista. La tua opera è simbolista in ogni sua fibra. Tutte le cose che ti riescono devono la loro riuscita a un qualche significato che gli atti o le parole portano con sé: un significato che non si esplicita mai, né lo potrebbe, ma non è neppure implicito né ha a che fare con qualcosa che i tuoi personaggi possono dire o fare. È semplicemente qualcosa che accade, di tanto in tanto, e allora uno si ferma e dice: Questo è terribilmente importante: questa è la cosa che conta».
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Anno edizione:1996
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