La letteratura inglese contemporanea
A dispetto delle frequenti rotture con la tradizione, più apparenti che reali, il senso drammatico dell’esistenza (espresso con efficacia dal teatro contemporaneo che vede in Harold Pinter il suo massimo esponente, vincitore del Nobel nel 2005), la propensione tutta britannica per la satira, l’ironia, la parodia e il grottesco, la versatilità della narrativa impegnata in ogni genere e forma (dal romanzo politico all’apologo morale, dal racconto fantascientifico a quello utopico), e infine l’inesausta capacità di giocare con il linguaggio sino a cogliervi le potenzialità più segrete o le infinite frammentazioni gergali, tutto questo costituisce l’elemento a un tempo coesivo e caratterizzante di una grande civiltà letteraria. Ne è testimonianza l’affermazione di nuovi talenti, tra i quali spicca Martin Amis, la cui scrittura carica, iperbolica e virtuosistica, sensibile ai modelli nord e sudamericani, documenta una tendenza alla dilatazione e al grottesco. Di segno opposto, pur se giocata anch’essa sull’effetto di una prospettiva straniante, è spesso la scrittura più contenuta e garbata di autori naturalizzati inglesi, che raccolgono l’eredità della tradizione narrativa britannica, come Anita Brookner o Kazuo Ishiguro. L’esplorazione di altre culture trova un maestro esemplare in Bruce Chatwin, capace di leggere dall’interno gli altri mondi e di restituirli in pagine dove l’immaginario esotico è imbrigliato da uno stile asciutto e scarno. L’antinomia fra contenuti scabrosi e violenti e toni narrativi freddi e distaccati caratterizza la produzione di Ian McEwan, di Beryl Bainbridge e di Graham Swift. Sullo stesso versante di favola crudele si pone la letteratura per ragazzi del gallese Roald Dahl. Grande successo hanno ottenuto negli anni ’90 scrittori come Irvine Welsh e Alan Warner che, ritraendo una gioventù alle prese con droga e disoccupazione, hanno saputo abilmente mescolare specificità locale (scozzese) con sentimenti e aspirazioni comuni del mondo giovanile.
Negli ultimi decenni, il ventaglio narrativo britannico si apre dal gusto per il pastiche e la riscrittura del romanzo vittoriano, in autori come Sarah Waters, alla predilezione per il contesto stimolante della Londra multietnica, al centro delle opere prime di scrittori giovanissimi come Monica Ali e Zadie Smith, alla provocatoria esplorazione dei domini del linguaggio, del tempo e dell’identità con Jeanette Winterson, al racconto marcatamente letterario, narrato in una prosa elegante e incisiva che ha in James il suo modello (Alan Hollinghurst) e nel ritratto sociale di Jonathan Coe. Nell’ambito della satira, la produzione varia dalla vitale comicità di Tom Sharpe e Alan Bennett alla filosofica impertinenza di Tibor Fischer, alla grottesca stravaganza di Fay Weldon. Su registri altrettanto diversificati – critica di costume, analisi psicologica, intrigo internazionale, melodrammatico «catastrofismo» di consumo – si articola l’opera di Iris Murdoch; il gioco degli echi, delle parodie e delle riprese vitalizza la forte intertestualità narrativa di Julian Barnes; il tenebroso gothic novel imprime una cifra caratterizzante alla narrativa delle scrittrici Antonia Susan Byatt e Angela Carter; esilarante e corrosiva, la vena di David Lodge porta al successo di massa il genere del campus novel. E tra gli autori di genere non possiamo dimenticare Ken Follett.
Nel campo della letteratura per l’infanzia, ricordiamo il «fenomeno» Harry Potter: il protagonista della serie creata da J. K. Rowling che ha raggiunto la vetta delle classifiche mondiali a ogni sua uscita, polverizzando record di vendite e conquistando spesso anche lettori adulti.
La letteratura inglese del Novecento
La letteratura degli anni 1920-70 esprime la coscienza della crisi di valori e culture dell’Occidente, squassato da guerre, fascismi, rivoluzioni e lotte di classe. La «rivoluzione copernicana» ha tolto all’Europa la sua centralità nel mondo, e anche in Inghilterra il sistema intellettuale a base umanistico-illuministico-idealistica è attaccato dall’interno e dall’esterno. Nel dilagare dell’industria culturale, della mercificazione dell’arte, i maggiori scrittori di quella che Auden ha definito l’«età dell’ansia» reagiscono con un appello ai «pochi felici», agli «eletti», chiudendosi in forme di aristocratica specializzazione, in simbologie private.
La ricerca appassionata di esiti e rimedi, il distacco ironico o l’abbandono all’«immaginazione del disastro», celano, negli scrittori del primo cinquantennio del secolo, un fondo d’insicurezza e solitudine, la scoperta dell’ambiguità del reale. Il senso della generazione degli anni ’20, per Virginia Woolf, è nella coscienza della relatività e precarietà dei valori. I poeti degli anni ’30 (Wystan Hugh Auden; Stephen Spender; Cecil Day Lewis; Hugh MacDiarmid) sono spinti all’impegno sociale e alla partecipazione attiva (guerra di Spagna); ma restano in bilico tra un mondo ingrato e uno che suscita la paura dell’imprevedibile. Donde il ritorno verso il formalismo, il romanticismo immaginifico e febbrile, lo scoramento e la frustrazione (gli «apocalittici»). In clima di guerra fredda e di liquidazione dei resti del prestigio inglese, il «Nuovo Movimento» (Philip Larkin; Thom Gunn; Ted Hughes) rifiuta con ironico empirismo teorie, misticismi, impegni e avanguardismi, per chiudersi in ambito crepuscolare dove «imparare uno stile dalla disperazione». In una direzione diversa si muove Geoffrey Hill, staccandosi dal purismo del «Nuovo Movimento» con una poesia dal registro misto. Negli anni ’60 si affaccia sulla scena letteraria Tony Harrison, che nelle sue poesie, caratterizzate da un tono comico e grottesco, dà voce alla storia della classe operaia del Nord. Gli anni ’80-90 vedono l’emergere di un nuovo filone di poesia narrativa, che recupera materiali tipici dei generi popolari, i cui protagonisti più importanti sono James Fenton e Andrew Motion. Interessanti sono poi le voci femminili, molte delle quali scozzesi, come Carol Ann Duffy, Kathleen Jamie e l’afroscozzese Jackie Kay.
Parallele, al fondo, le vicende della narrativa, sempre più lontana dal presentare una realtà indiscussa e costretta anch’essa a rinunciare a un codice di comunicazione collettivo e a chiudersi, con una frenetica invenzione di tecniche e modi, nella soggettività. Nel suo filone maggiore, essa ha fuso la tradizione anglosassone rappresentata da Sterne-James-Conrad con quella francese di Flaubert e Proust, tentando di formalizzare un presente la cui negatività corrode e scardina le strutture del sentire e del comporre. Dopo i risultati importanti della Woolf, che attraverso momenti lirici evoca la solitudine delle coscienze, cui dà senso solo un’impalcatura simbolica soggettiva; di D.H. Lawrence, tormentato dal bisogno d’un contatto istintivo con una natura «madre» e con l’«altro», sentito come estraneità; e di Ivy Compton-Burnett, che svela con sinistro distacco l’orrore dietro la facciata borghese.
La narrativa tra le due guerre (Ford Madox Ford, Wyndham Lewis) è impostata sulla critica ideologica al presente, all’autocentrismo della cultura occidentale, all’intellettuale come «malvagio» (Aldous Huxley), sulla ricerca di rimedi al male della civiltà e sull’analisi di un futuro pauroso per la logica degenerante delle rivoluzioni (George Orwell). La produzione che segue è folta di ottimi scrittori tradizionalisti, come Gerald Durrell, Graham Greene, Evelyn Waugh, Muriel Spark; di brillanti talenti isolati (Malcolm Lowry; William Golding, Anthony Burgess, Vidiadhar S. Naipaul, premio Nobel nel 2001, ma di origine trinidadiana); e comprende anche i cosiddetti «arrabbiati» (Kingsley Amis; John Wain; John Braine; John Osborne; Alan Sillitoe) accomunati da un impulso di rivolta contro l’Inghilterra del welfare state, troppo spesso impegnata a celare e a rimuovere le proprie contraddizioni. Ma si tratta pur sempre di un’Inghilterra che, grazie alla sua lingua internazionale, capace di assorbire gli apporti di civiltà recenti ed eterogenee (australiana, canadese, sudafricana ecc.), e alla sua illustre tradizione letteraria, ha ancor oggi la forza di proporre inedite interpretazioni del mondo moderno, dei suoi problemi, delle sue angosce.