Un bellissimo libro che parla dei clochard, della difficoltà di vivere, dell’amore che ti può devastare, del rimpianto e del rimorso, di solidarietà così come di cattiveria verso gli altri, dell’amicizia che può nascere tra le persone più improbabili …. E poi Marsiglia: la meta del personaggio principale del libro e che a sua volta diventa protagonista con la sua umanità, i suoi vicoli e il suo sole così come negli altri libri di Izzo. Un libro molto bello e intenso e scritto in modo coinvolgente con frasi brevi, a volte brevissime che danno ritmo al racconto.
Senza amici, senza amore, senza interessi, il signor Jensen è un uomo abitudinario e metodico che passa volentieri inosservato tra la gente. Improvvisamente si ritrova senza lavoro: la società gli ha voltato le spalle. Ogni tentativo di recuperare il terreno perduto è vano, il signor Jensen non può e, soprattutto, non vuole proprio risalire la china. Attraverso una bizzarra quanto lucida critica al senso comune della realtà, il signor Jensen "si taglia fuori" dall'esterno, spranga ogni finestra sul mondo, come la televisione, e inizia una progressiva, inevitabile rottura con tutto. Jensen si ritrova così a vivere come un emarginato nella società di massa, un po' per scelta e un po' per le circostanze. È la raffinata arte del dolce far niente a muovere il signor Jensen, o sta forse seguendo un piano segreto? Con i suoi ragionamenti, paradossali eppure intrisi di sorprendente razionalità, il signor Jensen getta luce sui limiti della società di massa. Jakob Hein è nato a Lipsia nel 1971 ed è figlio del romanziere e drammaturgo Christoph Hein.
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Informazioni:
Titolo:IL SIGNOR JENSEN GETTA LA SPUGNAAutore: HEIN JAKOBEditore: E/OAnno: 2007Bross. ed. in-8 - pp. 108 - trad. di Velia February e Vito Punzi - etichetta e timbri di biblioteca
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Anno edizione:2007
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Straordinariamente nelle mie corde. Un romanzo bellissimo, struggente e malinconico, a tratti crudo e cinico, che porta in superficie un mondo sommerso, di cui, a volte, neanche percepiamo l'esistenza...intriso di troppa solitudine, di sentimenti che si sono cristallizzati al freddo delle notti sui cartoni, di una dignità che ha perso la sua battaglia con il dolore. Il mondo dei senzatetto, dei barboni, dei rifiuti della società...che misurano le giornate in litri di vino, perché 24 ore sono troppe per chi si ritrova a dover vivere da morto, mero involucro condannato a respirare...e allora quel vino funge da ponte effimero fra loro e il resto del mondo. Rico...e tutti i disperati che lui incontra sul suo cammino (Titì, Dedè, Felix, Mirjana...) sono uomini che "hanno l'inverno addosso", che sono passati dal castello alla fogna senza neanche rendersene conto e senza accorgersene hanno smesso di esistere, per la società prima, e per se stessi dopo...o forse no, forse loro sono morti il giorno stesso in cui l'amore ha voltato loro le spalle andandosene via, e portandosi dietro i sogni, le speranze, il rispetto di se stessi... Tante porte che si chiudono, una dopo l'altra, fino all'ultima. L'ultima prima dell'Inferno. Izzo riesce a trasformare la miseria in poesia, riesce a dare voce a chi, in fondo, ha smesso di parlare da tempo, riesce a farti provare, leggendo questo romanzo, un dolore così intenso e profondo...da risultare dolce. Rico sono io, sei tu, chiunque abbia messo la propria felicità nelle mani di un sogno...tradito, e non sia riuscito a rimanere a galla. Perché quando non riesci a vedere più nessuna luce, nessun barlume di affetto, di futuro, negli occhi di tuo figlio, allora forse il tempo di combattere è finito...e non ti rimane che cercare, dopo tanto freddo sopportato (fuori e dentro), un po' di sole, un po' di calore, per poter ridare vita ad un ricordo e poi...andare a morire. Ma non tutti gli emarginati sono "Rico", incapace di mendicare, di rubare, di fare del male (se non a se stesso), a volte, c'è chi è ancora più miserabile della miseria, chi è più marcio dei luridi rifiuti in cui fruga per mangiare. Perché la cattiveria non conosce ricchezza, né povertà... Un libro che mi ha smosso mille sentimenti, che ha completamente messo in discussione il mio punto di vista, che mi ha fatto sentire una privilegiata senza, però, darmi alcuna rassicurazione. Uno dei rarissimi casi in cui, chiuso il libro, ho avuto una fortissima voglia di ricominciarlo. Può sembrare strano, ma, per me, questo è un romanzo d'amore. Sì, proprio d'amore.
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Paola Tabellario 20 agosto 2010
«... la profonda voce di Leonard Cohen credo si sposi bene con questo libro, io ci vedo bene Chelsea Hotel #2 (anche se la scelta di una ballata di Cohen non è proprio facile), il testo ovviamente non ha niente a che fare con la tematica del libro,o forse un pochino si, Cohen dedicò questa canzone a Janis Joplin, in sua memoria, mi da l'idea della mancanza, delle occasioni perse e del rimpianto,e del ricordo che stampa un sorriso dolce sulle labbra, mi fa pensare a Rico, ai suoi sogni disillusi, alle sue speranze tradite alla sua rabbia, a come in un attimo tutto cambia, sprofonda e chi ti sta intorno ti esclude, ti evita e non ti comprende, arrogandosi il diritto di giudicarti o di commiserarti, il loro pensiero si ferma ad una dimensione di vita quotidiana, fatta di routine, di comodità, di sogni dove un futuro è ancora possibile, e non si rendono conto che tu quella dimensione l'hai abbandonata da tempo e non credi più, non te ne frega più niente di nulla e i loro problemi quotidiani ti sembrano della vacuità, però il libro non è solo questo in Rico c'è speranza, e rabbia che nasce dalla stessa speranza, ci sono sogni, amari ma sempre sogni, ci sono ricordi, e ci sono sentimenti più profondi di quelli che tutti sbandierano tutti i giorni ai quattro venti, ma dei quali in realtà non conoscono il vero significato. I remember you well in the Chelsea Hotel, you were talking so brave and so sweet, giving me head on the unmade bed, while the limousines wait in the street........ »
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