Le politiche di riforma di cui necessitano le società «post-socialiste» dell'Europa orientale si trovano di fronte a un difficile dilemma. Se si vuole ottenere una effettiva crescita della libertà politica e una efficace espansione del mercato, bisogna circoscrivere l'area dei benefici assistenziali di cui ha goduto fin qui larga parte dei cittadini di quei paesi. Ma nel far ciò si rischia di ingenerare una verticale caduta del consenso e una disaffezione alla democrazia, che potrebbero costituire altrettanti impedimenti insormontabili proprio allo sviluppo delle riforme desiderate.La tradizionale sequenza storica che hanno conosciuto i paesi dell'Occidente - dallo stato liberale, allo stato democratico, allo stato sociale - subisce dunque, nel caso dell'Est europeo degli anni novanta, una drastica inversione. Lo stato sociale non è già, in questo caso, il punto di arrivo delle politiche pubbliche, ma piuttosto una precondizione, un elemento imprescindibile a partire dal quale bisogna cercare di stimolare una crescita del mercato e della democrazia politica. Il gioco è quindi complesso: esso riguarda la forza degli aiuti che verranno dall'esterno, la capacità di organizzazione delle élites dirigenti interne, e la pazienza con cui i cittadini di quei paesi sapranno affrontare le incognite di una società aperta.
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