Com'è tipico per la Munro, il libro è una raccolta di racconti brevi, sebbene gli ultimi quattro vengono esplicitamente descritti come "autobiografici nel sentire sebbene non, talvolta nei fatti". Lo stile è molto particolare, ma riesce bene ad equilibrare suspance e leggerezza. Ho trovato particolarmente interessante il continuo riproporsi di determinati elementi quali gli effetti della seconda guerra mondiale in Canada, la contrapposizione carnefice/sottomesso e l'analisi sul ruolo della donna. Circa l'ultimo punto, ho avuto molto da pensare nel ritrovarmi per la prima volta delle figure di donna che davvero sono poco più che statuine, che vengono portate al letto senza che né lo vogliano né che non lo vogliano. Buoni esempi sono la protagonista di "Amundsen", di "Che arrivi in Giappone" la zia Dawn di "Focolare". Ci sono anche molte donne forti, ma l'idea che mi son fatta a fine libro non è tanto del desiderio della scrittrice di dare buoni o cattivi esempi, bensì di riportare una sorta di frammentazione a cui si è giunti negli ultimi 80 anni (Alice Munro è nata nel 1931), in cui le idee di donna, di moglie, di madre, di prostituta, di lavoratrice, di studiosa, di giovane e di vecchia sono continuamente cambiate divenendo parzialmente incompatibili ma sempre confuse. Anche l'elemento della religione è interessante, poiché spesso si nominano tipi diversi di culto (unitariani, anglicani e altri) con riferimento a come si sono alternati nel tempo con caratteristiche e influenze diverse, mantenendo comunque una pressione sociale chiara. Insomma, Alice Munro scrive bene e da un sacco di idee curiose su cui riflettere. Consigliato a chi è amante dei racconti brevi!
Uscirne vivi
"Dear life", cara vita... Il titolo originale della tredicesima raccolta di storie di Alice Munro sembra la consueta formula epistolare di un pacificato congedo. Ma ha anche, nel contesto narrativo e nell'espressione idiomatica da cui proviene, il senso di un pericolo appena scampato. Scrivere alla vita, dunque, per uscirne vivi. Con l'urgenza di ogni fuga, un'impazienza nuova che si manifesta in un inedito nitore. Quello della narratrice di "Ghiaia", il cui disincanto e tormento esistenziale sembrano raccontati dalla prospettiva raggiunta di una lucidità imperturbabile. O del protagonista fuggiasco di "Treno", che attraversa le stazioni della propria esperienza e di quella altrui con lo sguardo di un semplice passeggero a bordo della vita. Quello che segue i percorsi mentali della vecchia di "In vista del lago" e del suo sconclusionato viaggio verso un passato irrecuperabile. Un nitore che connota anche la lingua di pagine nelle quali Munro concede alla sua prosa un'ulteriore, estrema libertà, asciugando le proprie frasi come pietre, spolpandole fino all'osso. Ossa di storie, voci lontane e ancora vive, sguardi, una parsimonia di parole, ellittica e più che mai essenziale. Ecco che cosa resta da dire, ecco che cosa trova il lettore in "Uscirne vivi": tracce di materiale radioattivo, lo stesso, pericoloso e potente, che ha attraversato, illuminandole, tutte le storie. Il residuo secco. Le prime e le ultime cose, rivela Munro, il bandolo di un mondo realizzato in sessant'anni.
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Autore:
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Anno edizione:2016
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Formato:Tascabile
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