Thomas Pynchon nel suo romanzo d’esordio si impone già come astro nascente nella letteratura americana. La sua narrazione folle e spericolata per via di un uso quasi ipertrofico della coralità in quanto si susseguono tantissime storie diverse praticamente slegate tra loro. Si potrebbe quasi considerarlo come una raccolta di racconti da come riesce a cambiare genere e registro ma anche epoca storica con una grande disinvoltura nonostante il perno della narrazione ruoti sui 2 protagonisti : Benny Profane, ex-marinaio stralunato e impassibile come un novello Buster Keaton nel suo continuo peregrinare a New York alla ricerca di un lavoro stabile mentre Henry Stencil, agente segreto inglese è in una costante ricerca della fantomatica V. descritta nei documenti lasciategli dal padre. Assolutamente non un romanzo facile in cui cimentarsi ma riesce a dare un taglio così netto soprattutto a tutta la letteratura classica e modernista che difficilmente lo scorderete
V.
«Sai di che strada parlo, bambina mia. La strada del xx secolo, in fondo alla quale, dopo una svolta, speriamo di provare la sensazione di essere a casa, di essere in salvo. Siamo stati messi all'estremità sbagliata di questa strada, per motivi che sono meglio noti a chi ci ha messo lí. Ammesso che sia stato qualcuno a metterci lí. Però è una strada che dobbiamo percorrere»
Chi è V.? V. è una donna, Vittoria, Veronica, Violet; ma è anche ogni donna. V. è una città, un regno immaginario, un topo convertito da un prete nelle fogne di New York. V. è l'ossessione che attanaglia gli essere umani di tutti i tempi. V. è lo spiraglio di luce verso cui tendere, al fondo di un vicolo che sembrava cieco. È la faticosa ricerca di sé in un mondo dove è sempre piú difficile restare umani. V. è un labirinto di storie in cui è meraviglioso perdersi perché ci si ritrova a ogni passo. Un romanzo vorticoso, crudele e compassionevole, spietato ed esilarante. Un insieme di frammenti impazziti, che hanno la forza di diventare un flusso avvolgente dal quale è impossibile uscire.
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Anno edizione:2017
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Luigi 11 gennaio 2025
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Ivan Proietti 19 maggio 2020
Pubblicato nel 1963, V. (opera prima di Thomas Pynchon) è considerato unanimemente il Manifesto del post-modernismo americano. Vincitore del “First Novel Award”, V. è il romanzo che inserì, ad appena ventisei anni, Thomas Pynchon nell’Olimpo dei Giganti della letteratura in lingua inglese (e non), contribuendo, inoltre, a portare quel suo stile labirintico e imbevuto di ampie digressioni di vario genere all’attenzione della critica mondiale. V. è un romanzo universale. Universale perché al suo interno roteano e oscillano avanti e indietro come dei pianeti e come degli yo-yo decine e decine di personaggi (importanti o quasi del tutto irrilevanti) ma che contribuiscono, nell’insieme, ad alimentare nella mente del lettore una misteriosa (ma potente) curiosità, intrisa, tuttavia, di un placido smarrimento (completamente inconsapevole, magico) che costringe chi legge a proseguire nella lettura, a vestire i panni di Herbert Stencil (che insieme all’amico Benny Profane sono i due protagonisti del romanzo), a cercare la chiave della soluzione, ad immergersi sempre di più in quel caotico (eppure, così tremendamente ordinato) universo apocalittico popolato di creature assurde e spietate eppure tragicamente reali e attuali in ogni epoca.
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Da qualche parte ho letto che Kafka, quando leggeva i suoi racconti, se la rideva alla grande. Io mi immagino i suoi amici. Dovevano pensare – Questo è matto perso. Io, alla prima lettura dei racconti di Kafka, rabbrividivo. Ecco, Pynchon è come Kafka: deve ridere, deve tenersi la pancia a due mani, quando legge ai suoi amici i suoi romanzi, perché Pynchon è uno così: è uno che ti legge quello che scrive. Di un goliardismo irredento. Da qualche altra parte ho letto – ma può darsi che mi stia inventando tutto – che Lucrezio abbia detto che non esiste arte più potente della scrittura. Puoi non sapere nulla di navi e di capitani di nave ma ti basta scrivere – Il capitano portò la nave al largo; per dare vita ad entrambi, una vita realistica, meglio: verosimile, che è una cosa più potente, perché più ambigua ma non meno sostanziale, di Realtà&Verità combinate insieme. Lucrezio doveva dire queste cose con negli occhi la stessa luce che aveva Kafka quando leggeva i suoi racconti. Sospetto che questa luce covi anche negli occhi di Pynchon.
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