Bellissimo libro di filosofia nel senso più proprio della parola: inizia col trattare il mostrarsi - l' "apparire" - di tutte le cose che fanno parte del mondo reale, percettibile, soffermandosi su quanto questa proprietà - l' apparenza - sia spontanea e appartenente a tutto ciò che possiamo trovare nella realtà, noi umani compresi, e il legame grazie al quale attraverso essa siamo tutti dipendenti l'uno dall'altro: chi appare ha bisogno di un altro che lo percepisca. Contrapposta apparenza e all'Essere stanno il Pensiero - pensiero per se stesso - e le attività spirituali prevedono l'uso del pensiero, in quanto pensare è ritrarsi dal mondo delle apparenze e quindi dal mondo sociale. Pensiero e apparenza sono quindi due realtà che si interrompono continuamente, alimentate dal bisogno umano di apparire e anche di pensare. Vengono citati molti filosofi, sia antichi, moderni e contemporanei a dimostrare quanto il pensiero umano abbia sempre conosciuto questo proprio bisogno di evadere dalla realtà, pur sempre per i fini più diversi: pensiero fine a se stesso, conoscenza, arte ecc. Ho letto solo le prime 300 pagine in quanto il mio programma d'esame prevedeva questo. Lo consiglierei.
La vita della mente
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È questo non solo l'ultimo libro di Hannah Arendt ma anche il coronamento finale della sua "vita activa".
Rimasto incompiuto, il libro si sarebbe dovuto comporre di tre parti: restano le prime due e un abbozzo della terza. La prima, dedicata al Pensare, si domanda dove si trovi l'io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo, concludendo che esso si pone tra passato e futuro, tra la memoria del non più e l'attesa del non ancora. Qui, nel presente del pensare, l'angelo della storia ferma talvolta il suo volo e ci fa essere liberi. Ed è proprio alla libertà che è dedicata la seconda parte, quella che studia una nozione sconosciuta ai greci antichi: il Volere. Solo il cristianesimo si pose infatti il problema di come conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio. E dal cristianesimo tale questione arriva sino all'epoca moderna, allorché la volontà si scontra con la legge di causalità, o quando ci si sforza di farla convivere con le leggi della storia. In appendice gli appunti della terza parte, dedicata al Giudicare.
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Anno edizione:2009
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Questo libro deve essere letto con molta attenzione. Libro base per tracciare quella che è la teoria del giudizio dell' autrice. La Arendt, attraverso la sua teoria del giudizio, cerca di individuare un tipo di sapere che sia in grado di fornire norme vincolanti di comportamento e al tempo stesso tenga conto delle situazioni concrete in cui ci si viene a trovare. Un sapere (theoria), dunque, che si sviluppa insieme all’agire (praxis) e in cui si riconciliano l’aspetto teorico e concettuale con quello pratico e concreto, la ragione e la decisione. Per raggiungere tale conciliazione ella si accinse a scrivere un opera,La vita della mente, purtroppo rimasta incompleta, dove ha tentato di mettere in evidenza le peculiarità di quella vita contemplativa con l’aiuto della quale ciascuno di noi possa trovare le basi per condurre una retta vita activa, per poter manifestare sempre noi stessi agli altri e perché questi ultimi si ricongiungano a noi nel nome di quell’amor mundi che la società moderna ha obliato. Affinché l’uomo possa condurre una vita moralmente giusta è necessario che la sua mente sia viva, che sia sempre vigile attraverso le sue tre facoltà: pensare, volere e, soprattutto, giudicare. La nostra vita morale, dunque, è regolata proprio dalle attività della mente che guidano le nostre azioni e devono trovarsi in armonia tra loro: pensare un’azione, voler che si compia, giudicare, infine, in che modo sia inserita nel mondo plurale della coesistenza tra gli individui. Pertanto se il volere è la molla dell’azione, il pensare e il giudicare devono essere con lui e tra di loro in equilibrio e in armonia perché l’azione sia veramente giusta.
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