Al di là degli inseguimenti tra i due Felix, a volte eccessivamente rocamboleschi, quello che cattura in Warszawa sono le pause riflessive dell'autore, come piccoli gioielli disseminati lungo il percorso dell'estenuante inseguimento. Il filo conduttore che vi ho soggettivamente individuato si muove su tre concetti riassumibili attraverso le seguenti espressioni: "Che ci faccio qui?" "Ansia di vita" "(Ri)sentimenti sovversivi". Nella riflessione riguardante la generazione di post teenager esterofili che idealizzano un se stesso migliore se teletrasportato in una realtà geografica diversa, l'autore sembra porsi domande sulla propria condizione di studente italiano all'estero, proiettandola fuori sull'indefinita generazione facebook; domande quindi sul proprio futuro, preoccupato di quanto e come potrà ottimizzare le proprie potenzialità (soprattutto se paragonate a quelle dei grandi pilastri della letteratura) e quante fette di vita riuscirà ad accaparrarsi dall'immensa torta che sembra rimirare in quell'orizzonte tra i palazzi che urla di voler andare a prendere.Ecco quindi che vi è una dilatazione tra il "Che ci faccio qui a Varsavia?" ad un "Che ci faccio con questa vita?". Ed ecco che quest'ansia di vita si traduce in un inseguimento serrato senza meta, se non la morte, in cui non si può star fermi se no si perdono possibilità, si perde vita (come accade alla cassiera prima della sua presa di coscienza). Ma quella stessa vita, con le sue norme e le sue regole già prestabilite, sembra essere stata configurata per contenere e limitare quella sete di vita e fare in modo che il protagonista (e la sua ombra) non possa essere felice (Felix appunto). Ed ecco che quell'insieme di norme e imposizioni prende forma in varie figure autoritare disseminate per tutto il romanzo: gli Skorpio e i vigili VS i due Felix; i classici che non si possono superare (Tolstoj, Stairway to heaven, La lettera scarlatta) VS l'autore ; tata Arunas aspirante sindaco che impone al figlio di scrivergli un articolo VS figlio che non vuole scriverglielo ed infine, summa di tutto il romanzo, "madre" Russia VS il popolo polacco e, nello specifico, Varsavia (o Warszawa) appunto. L'autore non ci sta; non sta fermo, non sta alle regole (i giorni della quresima sono quaranta o quarantaquattro?), si rende scomodo (si ubriaca, passa col rosso) e in un'acme controfobico di ribellione sfida la norma suprema, il limite ultimo: la morte, salvo poi sopravvivergli e rimuoverla in una sorta di esorcizzante immortalità narrativa. Il finale sembra dirci che la felicità spensierata di Felix il turco (straniero, fuori dalle convenzioni, viaggiatore) che sta nello scappare e sottrarsi alle dure regole della vita è provvisoria e che arriva sempre un dunque in cui bisogna fare i conti con il Felix polacco (del posto, inserito nella propria realtà) e con le imposizioni, anche quelle che appaiono ingiuste, come la dittatura dei classici e della "madre" Russia, e inevitabili, come la morte, "madre" di tutte le imposizioni e di tutte le paure.
Warszawa
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Anno edizione:2021
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LORENZO POMPEO 31 dicembre 2011
Un debutto brillante, pieno di invenzioni, assolutamente fuori dagli schemi. Warszawa è un romanzo breve, che si legge tutto d'un fiato. Non è un noir, non è un giallo né un libro di fantascienza. La scelta di ambientarlo a Varsavia rappresenta un elemento "esotico" in più. La capitale polacca, in questo romanzo, non è semplicemente uno sfondo, ma diventa quasi il protagonista della vicenda (l'autore le ha persino dedicato il romanzo). La scelta di inserire frasi di lingue diverse, dal polacco all'inglese, rispecchia la multiculturalità della Varsavia degli ultimi anni, città che nel secolo ormai passato ha cambiato pelle già più volte, da quella dei caffé d'anteguerra al campo di macerie del dopoguerra, dal più grigio realismo socialista all'odierno consumismo sfrenato, passando, nel giro di pochi anni, da un opposto all'altro. Gli assurdi paradossi di questa città sembrano avere ispirato l'assurda vicenda che l'autore racconta. Non manca qualche pagina meno riuscita come, ad esempio, una lunga tirata su Guerra e pace e sul suo autore, che non ha nulla a che fare con la trama del romanzo. Oppure l'incontro con un fantomatico editore, nell'epilogo del libro, che convince solo in parte. Ma queste piccole cadute non pregiudicano la tenuta del romanzo, che rimane, a mio avviso, un ottimo esordio.
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