Zobel

Tra spie, fantasmi e inganni, una caccia all’uomo nella Torino più misteriosa: dove il confine tra bene e male si dissolve nella luce d’agosto.

1961. Torre Bert, collina di Torino. I fratelli Judica Cordiglia, due giovanissimi radioamatori, dotati di apparecchiature rudimentali e di una curiosità sconfinata, intercettano per caso una radiofrequenza proveniente dallo spazio. Dalle cuffie emergono voci intrappolate in un purgatorio stellare, che si confessano sospese nell’eternità. Tra queste, una voce in particolare spicca sulle altre: parla del passato, di ambizioni di potere, di trame e segreti nella Germania di Hitler, ma anche del futuro — di quando, ventiquattro anni più tardi, un uomo arriverà a Torino per uccidere un misterioso personaggio. 1985. Tancredi è un sicario, un professionista affidabile. Non usa armi: preferisce le mani. Il suo solito committente, questa volta, gli assegna un incarico insolito. Dalla sua tana svizzera deve partire per Torino e rintracciare un uomo che si fa chiamare Zobel. La missione dovrà concludersi in ventiquattro ore, il giorno di Ferragosto. In questo noir metafisico, costruito su un montaggio alternato tra passato e futuro, Federico Mosso ci conduce tra le vie assolate e torride di una Torino surreale e visionaria, come uscita da un quadro di De Chirico. È una città-labirinto abitata da figure ambigue: malavitosi, fantasmi sovietici, uomini-miraggio come Gustavo Rol, e vecchi nazisti rinati sotto falso nome. Una caccia all’uomo anacronistica, fatta di illusioni ottiche e inganni, dove la strada della redenzione è lastricata di sangue — e il bene, inevitabilmente, resta imparentato con il male.