All'ombra del suo corpo

C’è più di un’eco di Frank Miller nel nuovo romanzo di Marco Minicangeli. “All'ombra dei suo corpo”, questo il titolo dell’opera, potrebbe benissimo essere una puntata di “Sin City” traslocata repentinamente sulle rive del Tevere. Per 120 pagine Minicangeli ci trascina su e giù in questa curiosissima Roma su cui piove sempre come in “The Hard Goodbye”, dove il protagonista è un ex-poliziotto espulso dal Corpo per una brutta storia di ragazzine e papponi (come in “That Yellow Bastard”), dove tutte le donne sono puttane (“Booze, Broads, & Bullets”) oppure mogli che hanno abbandonato il loro compagno proprio nel momento del bisogno (quindi doppiamente mignotte, sembra suggerire l’autore), e dove tutti gli uomini sono, per l’appunto, poliziotti oppure criminali (o entrambi, e non c’è via di mezzo). Alla fine, un Critico suggerirebbe che l’operazione compiuta da Minicangeli sia una trasposizione filologica dell’hard-boiled milleriano in salsa romanesca, con tanto di villain (zio Pino) che si esprime come Tomas Milian di Er Monnezza. Siccome io critico non sono (se non nell'accezione “rompiscatole” del termine), mi limiterò a dire che ritrovare i ferocissimi cliché milleriani per le strade della città in cui vivo è piuttosto intrigante, e anche un po’ provocatorio. Alla fine, in questo scenario (suggestivo, per carità!) di mignotte disperate, spacciatori con il revolver, papponi drogati, pokeristi, allibratori clandestini, picchiatori, ex-poliziotti, falliti di tutti i tipi che passano le giornate nei bar di Testaccio, viene da pensare: “Ma non era mejo la Roma-nun-far-la-stupida de Rugantino?”