La vita di Carlos era perfetta fino a quando il suo mondo è crollato: era un viziato e privilegiato bambino di 8 anni, figlio molto amato di un importante giudice cubano, giocava spensierato con il fratello e i suoi amici altrettanto privilegiati a Cuba, l’isola a forma di grossa lucertola bagnata da acque turchesi. Poi i ”ribelli” hanno sconfitto Batista e i suoi genitori hanno fatto scappare lui e il fratello negli USA con l’operazione “Pedro Pan”. E’ questa è stata la prima volta che è “morto”: da bambino incapace anche di legarsi le scarpe si ritrova orfano e povero in un orfanotrofio. Questa autobiografia è un vero capolavoro perché Eire racconta attraverso gli occhi ingenui di un bambino l’arrivo di Castro all’Avana e dell’effetto sconvolgente che ha portato nelle vite di tutti. Nel lungo racconto di questa infanzia felice e scapestrata Eire inserisce alcuni riferimenti alla sua vita in America: il freddo, la neve, la mancanza dell’appoggio familiare, la solitudine, il razzismo verso gli emigrati. All’inizio però sono solo delle piccolissime pennellate che non interrompono lo scorrere del racconto tra personaggi cubani decisamente pittoreschi, tradizioni, giochi; verso la fine la drammaticità sottintesa emerge con grande amarezza così come l’ostilità verso chi ti ha strappato la tua vita e dopo 50 anni continua a tenere ferme le redini del potere. All’inizio ho provato un po’ di sconcerto: sono pochissimi i riferimenti al regime crudele e dittatoriale di Batista e alle abissali disuguaglianze tra i pochi privilegiati e la moltitudine povera e affamata. Mi sembrava un po’ stridente questo rimpiangere continuamente un’infanzia idilliaca senza quasi mai accennare alle terribili condizioni di un paese piegato dalla dittatura: qualche accenno alla povertà e a qualche conoscente torturato dalla polizia segreta di Batista e poco altro. Continuando a leggere poi sono arrivata al punto che mi ha fatto comprendere del tutto il punto di vista di Eire: quando la madre riesce finalmente ad arrivare negli USA dopo anni, si ritrova completamente spaesata perché non sa una parola di inglese e ha una gamba paralizzata. Si presenta con un cappotto di pelle elegante all’assistente sociale per chiedere un lavoro. Questo, decisamente piccato dall’aspetto decisamente troppo signorile della querelante, le rinfaccia che lui è arrivato senza neanche un cappotto da Porto Rico. La madre di Eire le fa presente che lui era povero e come tale si è ritrovato negli USA: lei invece a Cuba era ricca, proveniva da una famiglia importante ed era sposata con un giudice. Questo pezzo mi ha fatto capire che è questa la chiave di lettura del romanzo: cosa ha provato e capito un bambino di 8 anni che ha passato la sua infanzia avendo come unica preoccupazione i giochi e che si ritrova improvvisamente sbattuto in un orfanotrofio senza poter più rivedere suo padre e la sua terra. Bellissime le descrizioni dei personaggi: un padre che si crede la reincarnazione di Luigi XVI, una madre apprensiva tipicamente cubana (decisamente ironico e divertente il contrasto tra la preoccupazione di morire se si fa il bagno prima che siano passate 3 ore dal pasto e dall’altra il lasciar giocare i bambini con dei petardi pericolosi come bombe!) , un fratello più grande scavezzacollo e spericolato, un fratello adottivo che si rivelerà man mano un demonio, un insieme di zii e zie decisamente originali. E su tutto e tutti Cuba, l’amata isola con il mare turchese continuamente rimpianta e così trasformata da una rivoluzione che ha portato violenze politiche e rappresaglie crudeli. Insomma, un libro molto bello che è un atto di amore per la propria terra.
Carlos aveva otto anni quando il mondo cambiò. Successe mentre lui dormiva, e senza che nessuno lo avesse consultato. Ne fu molto indispettito, ma questo non impedì al mondo di cambiare. In quanto figlio di un importante giudice nella Cuba di Batista, in effetti Carlos godeva del meglio della vita. Un autista lo portava tutti i giorni all'esclusiva scuola cattolica che frequentava insieme ai figli del presidente e sollecite cameriere si occupavano di lui e dei suoi fratelli. Se non fosse stato che suo padre si credeva l'incarnazione di Luigi XVI, e trattava i figli come principi Borbone, tutto sarebbe andato per il meglio. Aveva sposato sua madre perché assomigliava a Maria Antonietta e, un giorno, avendo riconosciuto in un bambino incontrato per strada il Delfino di Francia, lo aveva adottato seduta stante. Quel giorno, Luigi VI gli comunicò che i ribelli avevano vinto e che Batista aveva lasciato l'Avana. Non c'era posto per i Borbone nella nuova Cuba. Così Carlos, insieme a 14.000 altri bambini, venne separato dai suoi genitori e mandato in esilio in America. Ma il ricordo delle mille onde turchesi della sua terra non lo abbandonerà mai.
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Anno edizione:2008
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