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Ho scoperto per caso Vitaliano Brancati durante alcune ricerche su altri scrittori in giro per Wikipedia e posso dire che è veramente stata una bella scoperta. Ho scelto di iniziare dal suo romanzo più importante e posso dire che mi è piaciuto un sacco, il protagonista passa dall’essere un grande seduttore ad un uomo infelice che inizia a vedere intorno a se in maniera offuscata, e, infine come sfondo c’è la Sicilia del primo dopoguerra fascista e conformista allo stesso tempo
Vitaliano Brancati • Il bell’Antonio • anno 1949 Ambientato nella Catania fascista, dagli anni ‘30 agli anni ‘45 circa, il libro è incentrato sul senso dell’onore perduto. Ma mentre il lettore viene fin dall’inizio “raggirato” poiché gli si presenta la storia di Antonio e della sua impotenza sessuale, che porterà all’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota con enorme scandalo per lui, per la sua famiglia e finanche per i suoi più cari amici in realtà il romanzo racconta altro e l’onore perduto non è tanto quello di Antonio, con la sua impotenza sessuale, ma l’infelicità derivante dall’impotenza di dover vivere sotto un regime dispotico, corrotto e senza valori, nel quale Mussolini che aveva incantato le masse si piega ad Hitler. Il romanzo quindi ha due piani di lettura: la ironica anche se infelice storia di Antonio, uomo tanto bello quanto codardo, che provoca commenti sarcastici in tutta Catania a causa dell’invidia che suscita un uomo così bello da essere desiderato da tutte le donne, purtroppo però impotente, in una Sicilia dove l’uomo è uomo solo se si fa valere a letto e se “cavalca” quante più donne possibile, anche magari con la violenza che è ampiamente tollerata e la contingente triste storia del fascismo che culmina con la distruzione e la devastazione di Catania, e il successivo sfascio della società che il cugino Edoardo subisce in pieno poiché aspetta per anni la libertà, ribellandosi al fascismo, per poi essere rinchiuso in prigione e in un campo di concentramento con tutta l’amarezza che ne consegue.
Con Il bell’Antonio Vitaliano Brancati affronta una tematica tanto cara agli italiani e maggiormente apprezzata nel mezzogiorno d’Italia, perché, a voler essere del tutto sinceri, in ogni maschio si cela, frenato, oppure solo vagheggiato, l’istinto del galletto, con alcuni che poi diventano autentici sciupafemmine e delle continua prova della loro virilità fanno l’unico scopo di un’esistenza dietro la quale c’è quasi sempre il vuoto. Il protagonista, Antonio Magnano, è un giovane di una bellezza straordinaria che entra nei sogni di tutte le donne che lo incontrano e anche di non pochi uomini. Gli si attribuiscono conquiste in serie, si vagheggiano rapporti di alcova in cui il kamasutra potrebbe essere il breviario di questo sacerdote dell’amore. Un grande seduttore, quindi, quel che si dice un tombeur des femmes e che a un certo punto finisce oggetto di un matrimonio architettato dal padre che nel voler sistemare bene il figlio con la ricca e bella ereditiera Barbara spera così anche di avere un’eventuale valvola di salvezza nel caso che un grosso investimento non vada a buon fine. Ebbene si celebrano le nozze, tutte le donne di Catania (la storia si svolge nella città siciliana durante il ventennio) invidiano la sposa e tutto andrebbe bene, se non fosse che dopo un po’ di tempo la sposina si accorge di qualcosa che non funziona, che quel marito, peraltro assai affettuoso, non consuma il matrimonio e quindi apriti cielo, anche perché si deve procedere all’annullamento del sacramento da parte della Sacra Rota, affinché lei possa sposare il ricchissimo duca di Bronte. Anche se non si volesse dare scandalo, anche se si volesse tacere l’impotenza di Antonio, l’annullamento del matrimonio e le conseguenti nozze non possono che diventare di dominio pubblico, e così in un Italia in cui la virilità era da considerarsi il miglior biglietto da visita, e al tempo stesso il minimo requisito, per essere un perfetto fascista, il bell’Antonio precipita dal trono nella polvere. Sulla base di ciò che ho scritto verrebbe da pensare che lazzi e allusioni erotiche dovrebbero essere ben spalmate nell’opera, ma se è pur vero che c’è un certo sipirito goliardico, una certa verve tipicamente sicula, non potrei parlare di comicità, perché il romanzo è invece intriso di grottesco, imperniato come è sul dramma personale di Antonio Magnano, che si trincera in un non voler comprendere la sua condizione e che finirà poi per confessare questa sua disgrazia allo zio Ermenegildo, l’unico che sembra in grado di capirlo. C’è invece una comicità indiretta, e che è una vera e propria satira, nelle diatribe in casa Magnano e nel fraseggio, sovente in dialetto, dei cittadini catanesi, che sembrano trovare quasi un sollievo nell’apprendere che il giovane Magnano non era lo sciupafemmine di cui si vagheggiava e che in fondo si invidiava. La gente non comprende la tragedia di un uomo che si sente meno uomo, quelli che prima lo adulavano ora lo prendono quasi in giro, insomma c’è una emarginazione che finisce con il minare l’equilibrio psichico di un individuo che poco a poco si convince che per lui la vita non ha più senso. Il romanzo mi è piaciuto, è ben scritto, graffia il giusto senza eccessi, insomma è senz’altro da leggere.
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