La meridiana di Shirley Jackson è uno di quei libri che ti entra sotto pelle senza che tu te ne accorga, come un'ombra che si fa sempre più presente mentre la lettura prosegue. La storia di Merricat, la protagonista, è inquietante proprio nella sua apparente normalità. All'inizio sembra una ragazza strana, un po’ isolata, ma man mano che il romanzo si sviluppa, la sua stravaganza diventa sempre più palpabile, quasi minacciosa. Il suo mondo – una casa isolata, un paese che li guarda con sospetto, e una famiglia distrutta dalla tragedia – mi ha colpito come un labirinto emotivo da cui è impossibile uscire senza rimanere segnati.
Quello che mi ha davvero affascinato è il modo in cui Jackson esplora il confine tra follia e normalità, e come una vita che appare calma in superficie possa nascondere abissi di paura, dolore e risentimento. La dinamica tra Merricat e sua sorella Constance è un mix di protezione e dipendenza, ma anche di rifiuto verso il mondo esterno, come se il loro rifugio fosse l’unico modo per evitare di affrontare la società che le ha emarginate. Ma più si scivola nelle pagine, più emerge un senso di terrore sotterraneo, un'accelerazione di eventi che non si possono più ignorare.
La casa, la meridiana, diventa il simbolo di un tempo che sembra essersi fermato, come se Merricat cercasse di controllare la realtà per preservare un mondo che non può più esistere. C'è qualcosa di disturbante, ma anche affascinante, nel suo tentativo di mantenere il controllo, di fissare tutto in un punto preciso del tempo. La scrittura di Jackson è straordinaria nel creare una tensione che cresce, pagina dopo pagina, fino a culminare in un finale che non ti lascia mai completamente in pace.
