Ammetto che il libro è scorrevole e si legge in una serata, e sparsa tra le pagine c'è una Napoli un po' folcloristica con la gente che fa ammuina, Posillipo, il mare, mi ha fatto venire voglia di tornarci. Però la storia non mi è piaciut. Scrivere in dialetto che c'è gente che si fa gli affari suoi e non pensa a soccorrere il prossimo non basta per fare un buon libro.
Un pomeriggio di agosto, verso la metà degli anni Novanta. Nel silenzio immobile della controra, una voce chiede aiuto. Una volta, due volte, dieci volte il grido risuona nell'androne ombroso di una elegante palazzina di Posillipo. Poi il silenzio, di nuovo, avvolge la strada. Nessuna porta si è aperta, nessuno degli inquilini ha risposto all'appello della ragazza. In quell'androne la troverà, morta, un giovane poliziotto, uno che viene da un quartiere che sembra appartenere a un altro mondo, nella periferia orientale della città. È la prima volta che vede un cadavere - e quella ragazza potrebbe avere la sua età. Nel vuoto sospeso di una Napoli dove chi può permetterselo è partito per le vacanze, e chi non può aspetta Ferragosto per andare a passare una giornata a Ischia o a Procida, il giovane poliziotto si intestardisce a chiedersi chi era quella sua coetanea che sembrava così normale, chi ha potuto ammazzarla, e perché. Interrogherà i vicini, rintraccerà gli uomini che l'hanno amata. Scoprire la verità (tanto imprevedibile quanto inquietante) lo indurrà a guardare con meno candore, e a giudicare con meno benevolenza, quella parte della città i cui abitanti, pur non essendo né camorristi né spacciatori né tossici - ma liberi professionisti, intellettuali, "gente perbene", insomma -, hanno anch'essi i loro ignobili segreti, le loro viltà nascoste.
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Anno edizione:2009
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CECILIA RUSCITTO 02 settembre 2010
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SILVIA ZENIER 10 agosto 2010
I casi della cronaca quotidiana non mancano mai di incuterci nell’animo il timore “dell’altro”. Che “altro” sia poi l’extracomunitario o il vicino di casa poco importa, se non ai fini politici. Più il Mondo si ricopre di persone e più gli individui tendono ad avere paura di chi gli sta accanto. Mentre una volta il cortile ed il quartiere erano posti frequentati da comunità ora gli stessi luoghi sono frequentati da singoli o da famiglie che non hanno nessuna voglia di andare oltre la conoscenza superficiale di chi frequenta le stesse scale del condominio. Questa forma di vivere a blocchi compartimentati non fa che accrescere il timore per l’altro, la paura che questo possa essere una minaccia concreta. Questa diffidenza profonda ingenera una chiusura nei confronti degli altri che, troppo spesso, ci spinge fino al non rispondere a richieste di aiuto rivolteci da persone sconosciute. Quest’ultimo atteggiamento è indagato magistralmente da Andrej Longo in “Chi ha ucciso Sarah?”, edito da Adelphi. L’atmosfera che pervade il romanzo è quella del giallo classico ma la conclusione è una chiusura sociologica, che ci induce a riflettere sul silenzio che pervade le coscienze di fronte alla morte inspiegabile di una giovane donna. Un romanzo che usa il genere noir per dispiegare un volo sulla nostra condizione di “essere civili”; un romanzo come nella migliore tradizione della letteratura italiana.
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