Mi dispiace, lo dico davvero. C'è una cosa che adoro nei libri e ancor più nei film. Quel campo lungo iniziale con il titolo passando ti descrive tipo telescrivente il luogo, magari remoto e l'ora in cui si svolge l'azione che stai per seguire. Hai presente? Quello. E poi gli estratti di documenti ufficiali, di stralci di pubblicazioni, di scritti che ti inducono ad entrare nella trama. Queste cose le adoro. Ma altre sono impossibili da accettare. Come il fatto che Pavlou quasi a ogni pagina introduca una tesi affascinante per dimenticarsi di seguirla dopo appena 3 risvolti. Il codice di Atlandide è così, una pangea incompleta e poco seguibile di teorie che vogliono incastrarsi l'una nell'altra con lo scopo di ricercare una soluzione olistica al grande oceano della cultura dalle origini (quali origini poi?) al prossimo futuro. Il tentativo mette insieme religione, religioni, tecnologia, storia e basso esoterismo con uno stile che non sempre è godibile e che forse sfrondato da troppi presunti approfondimenti avrebbe intrattenuto di più. Omaggio a tratti rimato con plagio verso il compianto maestro John Michael Crichton che leggendo il romanzo avrebbe impugnato e consumato il matitone rosso blu. C'è dell'altro in giro, cercate.
