Dal Patrimonium beati Petri allo Stato della Chiesa. Il modello marchigiano. Ediz. per la scuola
Il Patrimonium Beati Petri, agli inizi del secondo millennio,era una realtà territoriale piuttosto estesa ma il controllo pontificio era limitato al territorio romano, al Lazio meridionale e alla Sabina ove il potere reale era nelle mani di Episcopati, monasteri e stirpi signorili che, utilizzando vincoli vassallatici, godevano di amplissimi margini di autonomia e autogoverno. Potenti famiglie romane condizionavano persino i conclavi. Il primo papa che tentò di ripristinare l'autorità pontificia, rilasciando le prime concessioni in feudum o beneficium dei beni della Chiesa, fu Onorio II. Come corrispettivo, otteneva dai beneficiari il giuramento di fedeltà, l'omaggio, l'impegno ad una serie di servitia che si diversificavano in base alle condizioni in cui era avvenuto il passaggio alla vassallità pontificia. Le infeudazioni concesse avevano durata vitalizia, a due generazioni o perpetua ma i pontefici, quando avevano necessità di rientrare in possesso dei beni concessi anche con durata temporanea, furono costretti a organizzare vere e proprie spedizioni militari contro infeudati o terzi, ricorrendo persino alla scomunica. Questi, tra l'altro, esercitavano nel proprio territorio un’autorità sostanzialmente incondizionata che portò a un dualismo, anche legislativo, fra potere centrale e poteri periferici. Innocenzo III indebolì le strutture feudali superando il rapporto pattizio e diarchico ma solo nel XIV secolo, un vicario apostolico, rientrato in possesso dell'intera Pentapoli, nel 1357, a Fano, sede dell'Assemblea Generale dello Stato della Chiesa, pose le basi giuridiche della costruzione statale trasformando il Patrimonium in 'Stato della Chiesa'.
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