(Alfonsine, Ravenna, 1754 - Milano 1828) poeta italiano.Il periodo romano Studiò dapprima nel seminario di Faenza, poi frequentò i corsi di medicina all’università di Ferrara; ma i suoi interessi andavano alla letteratura. Nel 1775 fu ammesso all’accademia d’Arcadia e l’anno dopo, con la pubblicazione del poemetto La visione di Ezechiello, si guadagnò la protezione del cardinale Scipione Borghese. Nel 1778 si stabilì a Roma, divenendo presto famoso, specie dopo il successo del poemetto La bellezza dell’universo (1781), scritto in occasione delle nozze del nipote di papa Pio VI, il duca Luigi Braschi (M. ne divenne segretario), e celebrante la forza creatrice della natura. Seguirono i Pensieri d’amore (1782) e gli Sciolti al principe Don Sigismondo Chigi (1783), che risentono della suggestione del Werther di Goethe; l’Ode al signor di Montgolfier (1784), in cui si esalta il progresso della scienza e dell’uomo; i poemetti Feroniade (iniziato nel 1784, M. vi lavorò fino a poco prima della morte), sul tentativo di prosciugamento delle paludi pontine da parte di Pio VI, e Musogonia (1793, incompiuto), nel quale vengono rievocati miti classici; le tragedie Aristodemo (1787) e Galeotto Manfredi (1788), piene di echi shakespeariani e alfieriani; la Prosopopea di Pericle (1789), in lode del mecenatismo di Pio VI; e infine, più apertamente schierata dal punto di vista politico, la cantica in terzine In morte di Ugo Bassville (o Bassvilliana, 1793), in cui, prendendo lo spunto dall’assassinio del segretario della legazione francese a Roma, l’autore pronuncia una requisitoria contro i principi e le pratiche della rivoluzione francese. Con questa attività M. si poneva al centro del mondo letterario italiano, interpretando le esigenze del gusto neoclassico, molto sentite nell’ambiente romano; egli riusciva a catturare e rielaborare prontamente le suggestioni più diverse, da Dante alla lirica settecentesca, all’interno di una concezione che considerava il dettato poetico come una «bella veste» con cui ricoprire le idee. Del 1791 è il matrimonio di M. con Teresa Pikler, da cui avrà due figli, Gian Francesco e Costanza (che poi andrà sposa a G. Perticari).La fase giacobina e napoleonica Già negli ultimi anni del soggiorno romano il poeta aveva cominciato ad accostarsi alle idee rivoluzionarie. È del 1797 la sua partenza dalla città: passò per Bologna e Venezia (qui conobbe U. Foscolo, col quale intrecciò un’amicizia durata fino al 1810) e si stabilì infine a Milano, dove, nonostante le diffidenze dei giacobini, ottenne rilevanti incarichi nella Repubblica Cisalpina. Si trattava di una scelta politica che non smentiva la sua natura di uomo conservatore, confermata dalla successiva ammirazione per Napoleone, visto come l’uomo destinato a ristabilire un ordine illuminato. Fuggito a Parigi nel 1799 in seguito alla calata degli austro-russi, tornò a Milano nel 1801 e l’anno seguente ebbe la cattedra di eloquenza all’università di Pavia (la tenne fino al 1804); nel 1805 fu nominato storiografo di corte. Furono anni di intensa attività, e molte opere composte in questo periodo hanno accesi toni filofrancesi e filobonapartisti. Antipapali e antimonarchiche sono le tre cantiche Il fanatismo, La superstizione e Il pericolo (1798); mentre esaltano la figura di Napoleone il poemetto Prometeo (1797, incompiuto) e l’ode Per la liberazione d’Italia (1801), i poemi In morte di Lorenzo Mascheroni (o Mascheroniana, 1801), Il beneficio (1805), per l’incoronazione del Bonaparte a re d’Italia, Il bardo della Selva Nera (1806, incompiuto) sulle campagne napoleoniche in Prussia, La ierogamia di Creta (1810), per le nozze dell’imperatore con Maria Luisa d’Austria, Le api panacridi in Alvisopoli (1811). Si aggiunga la tragedia Caio Gracco (1801), perfettamente intonata alla situazione della Repubblica italiana, laica ma moderata, contraria tanto ai giacobini quanto all’Ancien régime.Ma l’opera considerata il capolavoro del poeta è la traduzione in endecasillabi sciolti dell’Iliade (terminata nel 1810 e ritoccata nel 1812, 1820 e 1825), rivisitazione del poema omerico in chiave neoclassica. Da ricordare inoltre la traduzione in ottave della Pulcella d’Orléans di Voltaire (postuma, 1878).Gli anni della restaurazione Crollato l’impero napoleonico e sopravvenuta la restaurazione, M. inneggiò ai nuovi dominatori con le azioni teatrali Il mistico omaggio (1815), Il ritorno d’Astrea (1816), L’invito a Pallade (1819). Ma, sebbene fosse ancor tenuto in grande considerazione (fra l’altro fu per breve tempo, 1816-17, condirettore della rivista austriacante «La Biblioteca italiana»), la sua autorità culturale non era più quella di un tempo. Agli ultimi anni risalgono l’idillio Le nozze di Cadmo ed Ermione (1825); il Sermone sulla mitologia (1825), con cui intervenne nella polemica tra classicisti e romantici schierandosi con i primi; la lirica Per il giorno onomastico della mia donna (1826), che è fra i suoi componimenti più sinceri e commossi. A parte va ricordata la Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca (scritta con Perticari, 1817-26), in cui polemizza con le teorie di A. Cesari, sostenitore dell’eccellenza della lingua trecentesca, e afferma la superiorità di una lingua letteraria italiana, respingendo le posizioni fiorentiniste della Crusca.L’eclettismo montiano Vissuto in un’epoca di grandi trasformazioni politiche, sociali e di costume, M. non fu certo l’interprete di questi eventi: infatti ogni caso contemporaneo (drammatico o lieto che sia) viene nei suoi versi semplificato e ridotto a spunto per magistrali esercizi di stile, per scorribande esperte nell’amato mondo della mitologia, per visite (anche commosse) al gran museo della letteratura. Prescindendo da qualsiasi giudizio sulla condotta pratica (opportunistica, secondo alcuni, propria di un uomo fragile e immaturo, secondo altri; tipica di un artista «disinteressato», attento unicamente alle immagini e alle favole, secondo altri ancora), occorre sottolineare che M. fu poeta mondano e d’occasione, sostanzialmente immobile ed estraneo alla storia. Da grande eclettico, egli diffuse, non senza coraggio, nuove mode culturali e si mosse con disinvoltura tra materiali disparati (moduli e motivi biblici, virgiliani, danteschi, della tradizione illustre cinquecentesca, shakespeariani, ossianeschi ecc.), ma approdò a esiti espressivi piuttosto monotoni, nei quali il verso è sempre sonoro e visivamente rilevato e risulta sempre di un registro diverso da quello degli affetti in gioco, o per troppo colore o per troppa soavità. Perciò è ancor oggi valido il giudizio che diede di lui G. Leopardi: «poeta veramente dell’orecchio e dell’immaginazione, del cuore in nessun modo». Resta da salvare la sua lezione formale, che avrebbe esercitato un’influenza notevole su tutta la poesia italiana dell’Ottocento, anche su autori di ben altra tempra come Foscolo, Leopardi e Manzoni.