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Nell’introduzione Walter Mauro tende a porre l’accento sulla continuità logica esistente fra la prima parte di questa antologia, composta da poesie di autori già affermati e che vengono definiti laureati, e la seconda più corposa parte, ove sono presenti composizioni di poeti per così dire esordienti. In effetti, se di continuità si tratta, questa dovrebbe essere intesa come rigore logico, continuità di intenti fino ad arrivare alla definizione di uno stile personale che, pur risentendo degli inevitabili influssi, conduce a una ars poetica ben individuabile e sicuramente attribuibile a questo o a quell’autore. Come sempre accade in queste raccolte antologiche il livello qualitativo è quanto mai vario, ma ciò che stupisce è che, in alcuni casi, fra poeti affermati ed esordienti non esistono differenze, e così si viene a rafforzare il concetto, o il sospetto, che il poeta sia “laureato” più per il frutto di una maturata notorietà che per il fatto che le sue opere siano di gran lunga migliori di altre. Nel caso specifico, inoltre, si verifica anche l’insolita circostanza di poesie di autori, da cui giustamente ci si attenderebbe un risultato migliore, siano in verità di spessore e qualità inferiori a quelle di illustri sconosciuti. Insomma, la discesa dall’Olimpo a volte può mostrare la debolezza degli dei, irriconoscibili se mescolati ai mortali. Personalmente della prima parte ho apprezzato Ballymurrin (Wicklow, Irlanda), di Paolo Febbraro ( Passeggiando cercavano – a fine / agosto – di dipingere in avanti / la sera, di non credere all’insolvenza / del tramonto….) e Poesia d’amore ritrovata, di Elio Pecora (Ammucchio frumento per i giorni / e papaveri senza odore / per ornare la soglia e le stanze /…), testi che riescono a colpire per la capacità di trasmettere sensazioni in modo lineare e apparentemente semplice. Della seconda parte, assai più ampia e articolata, - in cui è presente l’amico Franco Seculin con In un nuovo deserto, versi caratteristici nel suo stile misurato che a volte mi richiamano Umberto Saba - su tutte emerge, almeno secondo il mio parere, Tempo e Ritmi, di Fabio Zario (Nel tempo / mi perdo è uno sguardo / passa evolve corre / intensamente sempre / tra fasi e stasi /…). Non è facile descrivere il concetto intimo di tempo e il suo fluire, ma mi sembra che l’autore ci sia riuscito in modo eccellente, imprimendo ai versi una cadenza ritmica che come un metronomo scandisce appunto il tempo. Poi ci sono poesie più riuscite e altre meno, come sempre capita in questi casi, ma il livello medio resta comunque soddisfacente, anche se mi corre l’obbligo di evidenziare il ricorso eccessivo al troncamento del verso con quell’andare a capo sovente messo a sproposito, perché anziché aggiungere, toglie ritmo. Quanto all’andamento prosastico, piuttosto frequente, questo sta diventando una costante sulla quale nutro delle riserve, ma il mio concetto di poesia è indubbiamente assai meno moderno e di conseguenza non intendo fare il censore che emerge dal passato. L’importante resta sempre il piacere della lettura, lo scoprire qualche cosa di nuovo e recepire la comunicazione come accrescimento interiore, e in questa antologia questi elementi di valutazione sono senz’altro presenti.
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