Indice
Le prime pagine del libro
La ragazza si sporge, allunga le dita dei piedi oltre l’orlo del precipizio. Un baratro nero le si schiude davanti; alcuni ciottoli smossi dal suo peso ruzzolano giù, cadono e svaniscono nell’oscurità. C’era qualcosa, lì, prima: una torre, o forse un tempio... La ragazza non ricorda bene. Fissa il baratro senza fondo e sa, chissà come, che un tempo quel luogo era importante. Un porto sicuro.
Un santuario.
Vorrebbe fare un passo indietro dall’orlo del precipizio. È pericoloso restare in bilico lì, sul bordo del nulla. Ma non riesce a muovere i piedi. Sente cedere il terreno sotto di sé. Il burrone si sta allargando.
Ben presto il bordo si sgretolerà e lei cadrà, verrà inghiottita dal buio.
Sarebbe poi così orribile?
Le fa male la testa. È un dolore percepito a distanza, come se fosse qualcun altro a provarlo. Una pulsazione sorda che parte dalla fronte, gira intorno alle tempie e scende fino al mento. La ragazza immagina la propria testa come un uovo che ha iniziato a incrinarsi, con una ragnatela di crepe che va spandendosi sul guscio. Si stropiccia il viso e cerca di concentrarsi.
Ricorda vagamente che qualcuno l’ha scaraventata su quella terra sassosa, e non una volta sola, ma a ripetizione: qualcuno che la teneva per la caviglia ed era molto più forte di lei. Ricorda la testa che sbatteva e rintronava sui sassi. Ma è come se fosse successo a qualcun altro. Il ricordo, come il dolore, sembra lontanissimo.
Nell’oscurità troverà la pace.
Dimenticherà il dolore, la sofferenza, ciò che è andato perduto per scavare quel baratro senza fondo. Potrà smettere di lottare, finalmente, se solo scorre ancora un po’ in avanti e si lascia cadere.
Ma qualcosa la induce a indietreggiare. La consapevolezza, nel profondo di sé, che non può sottrarsi al dolore con la fuga. Deve contrattaccare. Deve continuare a combattere.
D’un tratto un lampo azzurro balena nell’oscurità sotto di lei, una solitaria scintilla di luce. Le scalda il cuore. Le ricorda ciò che si è sforzata di proteggere, le ricorda perché ora soffre così tanto. All’inizio è solo un puntino luminoso, come un’unica stella nel cielo notturno. Ma poi si allarga e risale a grande velocità: una cometa che viene dritta verso di lei. La ragazza barcolla sull’orlo del precipizio.
E poi appare lui, sospeso a mezz’aria, circonfuso di luce come l’ultima volta che lo ha visto. I riccioli neri spettinati ad arte, gli occhi verde smeraldo che la fissano: è identico a come lo ricordava. Le rivolge quel suo sorriso sfrontato e le porge la mano. «Va tutto bene, Marina», dice. «Puoi smettere di lottare.»
Al suono della sua voce, la ragazza sente distendere i muscoli. Lascia penzolare un piede nell’abisso. Il buio che si spande sotto di lei non le sembra più così minaccioso. Il mal di testa sembra attutito. Più lontano.
«Ecco, così», dice lui. «Vieni a casa con me.»
La ragazza sta per prendergli la mano. Ma si accorge che c’è qualcosa di strano in lui. Distoglie lo sguardo dai suoi occhi, dal suo sorriso, e vede la cicatrice. Una spessa striscia di pelle corrugata, violacea, che gli gira intorno al collo.
Tira via la mano e rischia d’inciampare sul bordo del precipizio. «Non è reale!» grida, ritrovando la voce. Pianta saldamente i piedi sulle rocce e si spinge via dall’oscurità.
Il sorriso del ragazzo coi riccioli vacilla, si tramuta in un ghigno crudele, un’espressione che lei non ha mai visto sul suo vero volto. «Se non è reale, perché non riesci a svegliarti?» le chiede lui.
Marina non lo sa. È bloccata lì, sull’orlo del burrone, in quel luogo di passaggio, col ragazzo dai capelli scuri: lo ha amato, un tempo, ma quello non è davvero lui. È l’uomo che l’ha portata lì, che l’ha picchiata con tanta violenza e poi ha distrutto quel posto che lei amava. E ora le sta profanando i ricordi.
Lo guarda negli occhi. «Oh, mi sveglierò, bastardo. E poi verrò a cercarti.»
Un lampo passa negli occhi del ragazzo: cerca di mostrarsi divertito, ma lei capisce che è arrabbiato perché il suo inganno non ha funzionato. «Sarebbe stata una fine serena, stupida che non sei altro. Saresti scivolata nel buio. Ti offrivo pietà.» Inizia a calarsi di nuovo nel baratro, lasciandola sola. Le sue parole restano sospese nell’aria: «Così invece continuerai a soffrire».
«Pazienza», dice Marina.