Melanconia, scienza e postmodernità
La depressione nella prima metà del XX secolo non disponeva di una definizione condivisa e non era altro che una sindrome associata a molte malattie mentali; qualche decade più avanti, grazie all'introduzione dei manuali standardizzati, la psichiatria dimostrò che si trattava del disturbo mentale più diffuso al mondo. Tuttavia, la categoria dei disturbi depressivi ci appare oggi come un "ombrello" nosografico che racchiude al suo interno una grandissima varietà di esperienze molto diverse tra loro. Alla luce dell'attuale crisi nosografica, questo lavoro ambisce dunque a fornire una lettura pluralista della melanconia intesa come patologia depressiva, pur nella sua ambivalenza spesso rintracciata nella sensibilità artistico?culturale dei grandi artisti o pensatori, tentando però di evitare per quanto possibile il termine "depressione" (che ha ormai perso quasi ogni significato clinico) e uscendo dalle diatribe della cosiddetta "grande dicotomia fondamentale", che vorrebbe il prevalere del presupposto cerebrale da un lato o del modello psicodinamico dall'altro. Un'epidemia depressiva che colpisce tanto l'individuo quanto il tessuto sociale, fino ad impregnare melanconicamente la stessa scienza.
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Edizione:2
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Anno edizione:2022
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