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Anno edizione: 2020
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Parafrasando Lévi-Strauss, come suggerisce Mian nella prefazione, questo libro avrebbe anche potuto intitolarsi “triste Artico”, poiché mostra, con sorprendente anticipo, ciò che è diventato chiaro oggi: che il vortice della Storia, ha risucchiato l’Artico dalla periferia del tempo e lo ha travolto.
«Viaggiare è fuggire il proprio demone familiare, distanziare la propria ombra, seminare il proprio doppio»: così Paul Morand descrive il senso di ogni autentico viaggiare.
Una massima che, in un giorno d’aprile, ha spinto SimonaVinci a raggiungere l’immenso corpo di ghiaccio sulla testa della Terra, quel gigantesco, infinitocuscino bianco di tremila metri di profondità chiamato Artico. Un luogo dove la Natura è potente e imprevedibile, dove l’isolamento è una condanna e una sfida quotidiana, dove si è in balia delle intemperie, della neve, del vento, degli animali feroci, del freddo e delle proprie paure. Un luogo apparentemente ideale per distanziarsi da sé stessi e accettare l’imprevisto qualunque esso sia, persino «quello di non sapere più di preciso chi si era prima di partire». Questo libro è il puntuale resoconto di questo viaggio, «innescato – come scrive Marzio Mian nella prefazione – dal richiamo della bellezza assoluta o dal bisogno di chiudersi nella più blindata fortezza di solitudine al mondo». È perciò la narrazione di questa bellezza, dei fiordighiacciati, delle rocce a picco sul mare dov’è possibile contemplare gli iceberg e le isole di ghiaccio. Ma è anche il racconto di un mondo in cui le etnie che lo abitano, dalla Groenlandia alla Siberia, pressate dall’avanzata della modernità, hanno abdicato ai loro modi di vita millenari.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Mi è capitato tra le mani per caso, devo certo dire che la foto di copertina non gli rende giustizia. Fortunatamente mi sono soffermata a leggerne la trama e mi sono rivista in lei. Un sogno da sempre: ritrovarsi da sola, tra i ghiacci, dell'artico, nel silenzio, nel bianco. Non c'è una vera trama, l'autrice racconta l'organizzazione e il soggiorno presso la Red House di Robert Peroni, racconta la quotidianità inuit, la loro solitudine e tristezza, racconta il senso del whiteout. Si legge tutto d'un fiato grazie anche alla trascinante ironia di Simona Vinci.
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