Handke aveva deciso di tradurre mentalmente - in un <i>sistema di cui avrebbero dovuto rappresentare le fondamenta</i> - delle semplici percezioni quotidiane, ponendosi, anche involontariamente, in uno stato ricettivo particolare. Quanto non <i>fu possibile ridurre al comune denominatore della forma letteraria precedentemente scelta</i> sarebbe stato destinato all'oblio; eppure all'autore sembrava una perdita, e questo materiale di scarto era in quantità tale che il progetto iniziale ne fu subissato. L'originario sistema autoimposto scompare del tutto e ne rimangono solo dei frammenti - che potremmo definire «puri» -: semplicemente la <i>trascrizione spontanea di percezioni del tutto prive di scopo</i>. Non è pertanto banale la genesi di quest'operetta, che va, infine, a rappresentare il compimento di un esercizio di immediata reazione - con le parole - a ciò che ci circonda, una baluginante animazione del linguaggio, che però si esaurisce nell'attimo stesso della sua realizzazione: un'inevitabile sprofondamento verso la perdita di ogni espressività, sulla ripida china in direzione di quel modo di esprimersi che già quasi mezzo secolo fa Handke definiva <i>dell'era delle comunicazioni</i>. Oggi, quell'<i>attimo della parola</i> che dona al personale un carattere universale non corre il rischio di essere percepito né di illuminare alcuno: l'originaria funzione stessa dell'opera è esaurita quando il pensiero è messo su carta.
Il peso del mondo
Un diario di frammenti e illuminazioni, una raccolta di occasioni registrate dalla mente e trascritte dalla penna sul foglio bianco, una raccolta di impressioni fugaci che diventano ognuna un'epifania, una scoperta o riscoperta della bellezza e della bontà. Attraverso un procedere quasi onirico, simile a quello stato di parziale incoscienza che è tipico del passaggio dalla veglia al sonno, Handke trascrive, quasi medianicamente, i segni del risorgere del bello in una serie di aforismi brucianti e luminosi, che alleggeriscono il mondo del suo "peso" e lo riconducono a una levità che si direbbe originaria.
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Autore:
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Edizione:3
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Anno edizione:2014
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LuigiAmendola 04 dicembre 2024La non banalità del banale
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