Handke aveva deciso di tradurre mentalmente - in un <i>sistema di cui avrebbero dovuto rappresentare le fondamenta</i> - delle semplici percezioni quotidiane, ponendosi, anche involontariamente, in uno stato ricettivo particolare. Quanto non <i>fu possibile ridurre al comune denominatore della forma letteraria precedentemente scelta</i> sarebbe stato destinato all'oblio; eppure all'autore sembrava una perdita, e questo materiale di scarto era in quantità tale che il progetto iniziale ne fu subissato. L'originario sistema autoimposto scompare del tutto e ne rimangono solo dei frammenti - che potremmo definire «puri» -: semplicemente la <i>trascrizione spontanea di percezioni del tutto prive di scopo</i>. Non è pertanto banale la genesi di quest'operetta, che va, infine, a rappresentare il compimento di un esercizio di immediata reazione - con le parole - a ciò che ci circonda, una baluginante animazione del linguaggio, che però si esaurisce nell'attimo stesso della sua realizzazione: un'inevitabile sprofondamento verso la perdita di ogni espressività, sulla ripida china in direzione di quel modo di esprimersi che già quasi mezzo secolo fa Handke definiva <i>dell'era delle comunicazioni</i>. Oggi, quell'<i>attimo della parola</i> che dona al personale un carattere universale non corre il rischio di essere percepito né di illuminare alcuno: l'originaria funzione stessa dell'opera è esaurita quando il pensiero è messo su carta.
Il peso del mondo
PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2019 Una nuvola vista dalla finestra, una malattia, un incontro sulle scale di casa, un libro, una trasmissione televisiva, un raduno di persone illustri o ignote, una figlia: tutto è occasione o pretesto, in Peter Handke, per trascrivere quasi medianicamente – o come in quel limite ambiguo che separa la veglia dal sonno – il proprio trasalire di fronte alle cose. Tutto ci ferisce, dice Handke, e nello stesso tempo tutto ci può esaltare, convertire, redimere. Il peso del mondo è uno dei più bei libri di uno scrittore che crede quasi fideisticamente nell’esistenza di un’«ora del vero sentire». Ogni frase si tramuta in un’epifania, in un momento rivelatore. È un procedimento che registra il «bello» e il «buono», tutto ciò che nasce per la seconda volta; ogni «aurora», ogni «rinascita degli dei» sono deputate a togliere al mondo il suo peso e all’aforisma il suo alone sentenzioso. Una magistrale prova d’autore di uno dei più grandi scrittori europei d’oggi.
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Lingua:Italiano
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LuigiAmendola 04 dicembre 2024La non banalità del banale
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