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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2014
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“Perdonatemi, 50 anni mi bastano, mi troverete nel Tevere” Sul letto ha lasciato questo scritto, è uscita di casa in una sera piovosa, è stata vista nei pressi del Tevere e l’unica traccia tangibile sono i documenti lasciati su una sponda. Si è gettata nel fiume? Ha ideato un finto suicidio per sparire e magari rifarsi un’altra vita? Non c’è risposta, anche se è presumibile la prima ipotesi, naturale conclusione di una vita di sofferenze, prima con un padre padrone, poi con un marito superficiale che non cerca di aiutarla e che si è trovato un’amante. Con questi elementi ci sono tutti i presupposti per una storia a tinte fosche, per squarciare l’animo della protagonista e portare alla luce il male oscuro che l’attanaglia. Luciana Capretti in parte ci riesce, ma va a complicarsi la vita con una struttura che, greve, caratterizzata da continui spostamenti temporali in avanti e all’indietro, toglie tensione, imbarazza il lettore che a un certo punto crede di perdere il filo del discorso, per poi ritrovarlo con non poche difficoltà. Ho notato anche negli ultimi due romanzi che ho letto (Pietro e Paolo e Una domenica, il primo di Marcello Fois, il secondo di Fabio Geda) questa tendenza marcata al flashback, espediente sempre difficile da inserire in una narrazione, tanto che il suo ricorso dovrebbe essere sporadico, e invece in questo libro e negli altri due che ho citato è assai frequente, e di conseguenza diventa irritante, a meno che non si ritenga inutile sforzarsi a riprendere il filo del discorso e allora la lettura diventa quella di una serie di episodi, non bene o mal scollegati fra loro. Francamente da Tevere mi attendevo di più, anche perché questa incertezza fra puro dramma individuale e prosa poliziesca nuoce all’opera, con personaggi come quello del commissario di ben poco spessore, che sembra messo lì per far insorgere in chi legge il dubbio che il romanzo viri al giallo, per fargli balenare l’idea che si arriverà a una soluzione certa. E invece di fare un discorso lineare in cui il drammo umano della protagonista viene posto in risalto in crescendo, lasciando intuire che la decisione presa era ormai l’unica possibile, si innestano, anche con i flashback, una serie di vicende marginali di cui poche hanno a che fare in modo ponderato e importante con la trama. Se devo essere proprio sincero il romanzo non mi è piaciuto proprio, pur riconoscendogli l’originalità della vicenda, ma come sempre le idee, anche le migliori, non riescono a essere efficaci se sono mal presentate, se la confezione è carente, in pratica se la struttura dell’opera, come in questo caso, è debole.
La vicenda di Clara narra di un reale fatto di cronaca. Una donna sopravvive a sè stessa consumata da un dolore antico, da una dramma che affonda le sue radici remote nei giorni bui della Seconda Guerra Mondiale, fino al momento in cui decide di uscire di scena. Durante l'indagine sulla sua scomparsa, si snoda il dramma e lo smarrimento degli amatissimi figli che assieme a un Commissario continuano a cercarla, mentre il marito da tempo rassegnato e incapace di capire accetta passivamente l'attesa di un suo improbabile ritorno. Il dolore, la malattia mentale, l'arrendersi di una donna che prova ad affrontare la vita cercando di dimenticare il buio, la violenza, l'abbandono, con la fragilità di chi pur non riuscendo a fare i conti col passato cerca ancora un riscatto, una soluzione per smettere di soffrire e di far soffrire, fino all'ultimo fatale minuto di lucidità.
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