Recensioni Riflessioni sulla morte di Mishima

Una morte sconvolgente, ossessivamente annunciata, preparata con implacabile meticolosità e infine celebrata dinanzi al mondo come un rituale spettacolare e tragico. L’uscita di scena di Mishima ha rappresentato al tempo stesso l’apoteosi del personaggio, condannato da un demone inquieto a una vita perennemente sopra le righe, e la parola conclusiva dello scrittore, la sigla di un’opera in cui gioventù, bellezza e morte appaiono intrecciate in un destino ineluttabile. Di questo invocato martirio, in cui un’etica eroica da antico samurai convive singolarmente con un estetismo quasi dandy, ancora oggi non è facile formulare una lettura. Per Miller la figura di Mishima rappresenta il risveglio del Giappone “alla bellezza e alla efficacia del loro modo tradizionale di vita”. Anche ispirata dalla sua quinta moglie, la pianista Hoki Tokuda, l’attenzione di Miller verso la cultura giapponese è un “must” che è sempre stato presente nella sua riflessione. Di Mishima, Miller ammirava il coraggio, lo stoicismo, la genialità e il suo vano sogno di restaurare la virtù e la spiritualità proprie della tradizione giapponese. )
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