Ingredienti ben scelti e ben amalgamati caratterizzano il romanzo “Senza Traccia” di Piero Grima, non un semplice romanzo poliziesco, ma un romanzo di costume a sfondo poliziesco o un romanzo poliziesco con i costumi di una terra a cavallo tra due epoche in contrasto sullo sfondo. Il protagonista, un commissario all’antica, specchio dei valori in declino della cultura contadina, di quella saggezza popolare e di quel senso comune che ama chiamare ogni cosa con il suo vero nome, senza falsi buonismi, tanto sagace ed empatico da riuscire ad entrare nelle pieghe dell’animo di vittima e carnefici, ricostruisce il puzzle del crimine con il classico metodo deduttivo ed il supporto della scientifica. Ad una prima lettura, questo commissario vecchio stampo, con le radici ben piantate nella sua terra, sembra quasi un Montalbano salentino, ma al di là delle affinità di superficie con la creatura di Camilleri, con il commissario Santoro si respira la salentinità delle origini ovvero la saggezza della cultura contadina dei nostri avi, il culto di valori antichi come la famiglia, l’onestà ed il rispetto del prossimo, contrapposta al potere corruttore della modernità. I bucolici paesaggi campestri, nella loro arcaica bellezza, vengono contrapposti alla bruttezza dei moderni quartieri cittadini, cornice di drammi familiari ed umani inconfessabili. Antichi proverbi e detti salentini, insieme ai piatti della tradizione ed ai continui riferimenti a modi di pensare ed agire stratificati nel salentino medio, fanno di questo romanzo più che un semplice poliziesco alla Camilleri un ritratto fedele di un momento storico particolare e di una cultura e di una terra ancora ai margini: l’emergenza lavoro, la fuga di cervelli, la droga, la sfiducia nelle istituzioni, l’ antica questione meridionale restano sullo sfondo, ma congiurano nella creazione delle atmosfere problematiche che caratterizzano il romanzo. Pochi tratti efficaci ci aiutano a visualizzare i personaggi nella loro fisicità e nella loro indole. Ciascuno di essi risulta ben delineato e riconoscibile. Allo stesso modo è facile respirare le atmosfere leccesi e salentine, come lo scirocco e la tramontana, una canzone dei Negramaro, l’eco della pizzica, un’emozione verace che sa di casa e ti riempie il cuore, poi costretto a guardare fuori da sé in un mondo meschino, fatto di egoismi, crudeltà e cinismo. Il narratore onnisciente incastra le tessere del racconto pazientemente, una ad una, così come il commissario Santoro, sua intima proiezione. Le note intimiste ed autobiografiche dello scrittore emergono come intermezzi di respiro universale nel dipanarsi del racconto poliziesco, portando il lettore al rispecchiamento e ad un maggiore coinvolgimento nel caso da risolvere. Il narratore non bluffa mai, mette tutto davanti agli occhi del lettore, che, fin dall’inizio, può competere ad armi pari con il commissario per la risoluzione del rebus che incastrerà l’omicida. Il libro si legge tutto d’un fiato: la scrittura è fluida e lo stile senza inutili orpelli, la suspense costante, pertanto il groviglio intricato di evidenze ed indizi plausibili tiene il lettore incollato alla pagina fino all’epilogo inaspettato, ma verosimile. Da leggere, non solo per gli appassionati del genere poliziesco!
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Anno edizione:2014
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In commercio dal:31 gennaio 2014
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