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Si tratta della storia di Thomas De Gendt, corridore belga molto amato per il suo spirito combattivo e per la sua voglia di affrontare le corse davanti al gruppo, in fuga, da solo. Che poi è anche una metafora della vita, e della sua vita. Una storia di ciclismo autentica.
«Solo. Meglio quindi arrivare al traguardo da solo. Perché se arrivo alla fine con qualcun altro, rimane sempre il dubbio. E se l’altro attacca al triangolo rosso? E se è più veloce? È una fase tattica della corsa che non fa per me. No, meglio piuttosto correre in solitaria. Attaccare dal gruppo dei fuggitivi. Tirare un po’ più forte degli altri nel gruppo di testa. Fargli capire chi è il migliore. Pian piano si stancano. E quando vedo che sono distrutti dalla fatica: aumentare ancora il ritmo. Accelerare. E sperare di essere l’unico superstite. Solo. Da quel momento in poi è soltanto una lotta contro me stesso.»
Dodici lunghi anni di carriera tra i professionisti e non molte vittorie nel palmarès. Ma quelle poche conquistate in grande stile e a coronamento di fughe perlopiù solitarie. Perché a Thomas De Gendt piace stare fuori dal gruppo: in senso proprio (detesta pedalare stretto in mezzo agli altri corridori) e in senso figurato (non sopporta di essere confuso nelle logiche omologanti del ciclismo contemporaneo), consapevole di non essere un campione ma anche, in questo ultimo decennio, di aver interpretato il mestiere del corridore in maniera del tutto originale. Senza peli sulla lingua, in questo libro-intervista Thomas De Gendt si racconta come uomo e come ciclista, tra memoria familiare e narrazione del gran circo del ciclismo professionistico dalla sua privilegiata posizione di insider.
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