Sono un tipo cocciuto, nel senso che non mi arrendo al primo ostacolo, e poiché La ragazza di Bube, peraltro gratificato del Premio Strega, non mi è piaciuto, ho voluto leggere qualche cosa d’altro di Cassola, per l’occasione cercando un’opera meno impegnativa di un romanzo e la mia scelta è caduta su questa raccolta di racconti, di cui diversi amici e conoscenti mi avevano parlato bene. L’aver preferito questa soluzione non è casuale, un po’ per la sua relativa brevità (227 pagine), un po’ perché mi sono detto che su tre racconti (tanti ne conta il libro) secondo un calcolo probabilistico ameno uno avrebbe dovuto piacermi. Purtroppo non è stato così perché, pur apprezzando l’italiano corretto con cui sono scritti e anche la diligenza di narrare di Gugliemo, rimasto vedovo e che ha preso da tagliare un bosco, oppure di Rosa, ormai definitivamente nubile e tutto sommato contenta, o ancora di più delle due cugine Anna e Anita nel fiore degli anni e con i tipici desideri dell’età, arrivato all’ultima pagina ho potuto constatare che non mi avevano suscitato emozioni; infatti, anche se i protagonisti sono individui normalissimi, sarebbe stato necessario dar loro una certa impronta, ponendoli magari in situazioni non comuni, onde differenziarli dalla massa anonima costituita dall’umanità. I protagonisti poi sono talmente poco interessanti da non lasciare traccia nel mio animo, perché mi ricordano anche, con trame diverse, troppe persone che ho conosciuto nel corso della mia vita; è il trionfo dell’anonimato e non dell’umiltà, proprio perché l’umile ha caratteristiche, sovente positive, che alla lunga lo differenziano dagli altri. Chi ama Cassola avrà senz’altro da ridire, ma francamente adesso posso affermare che è un autore che non rientra nei miei gusti, senza disprezzarlo, perché la stroncatura è altra cosa, ma anche senza stimarlo, con un giudizio che non va più in là del discreto.
Opera dalla genesi complessa, meditata da Cassola per oltre un decennio a partire dal nucleo di un racconto dal medesimo titolo, "Il taglio del bosco" vide la luce nella sua forma definitiva nel 1959 da Einaudi. Si tratta di una raccolta di "racconti lunghi e romanzi brevi" che ruotano intorno al tema della perdita degli affetti (tema che divenne dominante nella produzione dello scrittore soprattutto dopo la scomparsa della moglie, avvenuta nel 1949) cui si aggiunge quello dell'impegno civile. L'introduzione è dello scrittore Manlio Cancogni, vincitore dello Strega nel 1973 con "Allegri, gioventù", che conobbe molto bene Cassola e ne fu intimo amico.
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Anno edizione:2017
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Renzo Montagnoli 20 marzo 2019
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Maria Airoldi 27 novembre 2016
Questo breve racconto è in realtà molto più denso di quello che potrebbe sembrare a prima vista: la narrazione descrive fatti semplici, il lavoro dei boscaioli, la natura, le alternanze climatiche, il rapporto fra gli uomini. Ma dietro a questi avvenimenti più che una storia c'è in realtà un unico fatto: il protagonista ha perso da poco la moglie e il dolore gli brucia dentro in maniera incontrollata, non ha sfogo e non ha interlocutori. Allora tutto il resto diventa un modo per non pensare, quindi per soffrire di meno. E lo scrittore in certo senso sposa questa scelta: anche lui non scopre la ferita, ce la fa intuire nelle parole non dette, nelle assenze, in questo cercare sfogo nel lavoro e nella natura, nei deboli tentativi di aprirsi a un rapporto umano più profondo. L'attrattiva di queste pagine sta proprio in questo parallellismo, una particolare sintonia che suscita anche discretamente la sintonia e la solidarietà del lettore.
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