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Traduzione di Lia Secci e Vittoria Ruberl. Finito in manicomio dopo memorabili eventi, il nano, paranoico e mistico, Oskar Matzerath, decide di rievocare, complice il tamburo di latta che si porta appeso al collo, la vita che ha vissuto, una vita profondamente intrecciata alla storia della Germania della prima metà del secolo. Fino a ventotto anni Oskar ha deliberatamente scelto di non crescere: non ha mai superato la statura di un bambino di tre anni e lo ha fatto in odio al padre, anzi ai suoi due padri, e al turpe e normale mondo che lo circonda. La ripugnanza nei confronti dell'universo demoniaco, folle, miserabile e feroce in cui si è trovato a vivere nutre la sua deformità, dà forma alla sua rabbia, modula la sua voce. Oskar sta di fronte alla realtà ad occhi aperti, sbarrati, la guarda in faccia, senza filtri, senza condizionamenti. Come gridata da un paesaggio cupamente leggendario la sua storia resta definitivamente incisa nella memoria dei lettori: la nascita della madre sotto le quattro gonne della mitica nonna contadina, la sua venuta al mondo, ricca di presagi, la decisione di interrompere la crescita in modo da farne ricadere la colpa sull'odiato padre, l'opposizione e l'adesione al regime nazista, fino al crollo della Germania e al lento, tragico sviluppo del dopoguerra, parallelo alla decisione di riprendere la crescita, libero ormai dal complesso paterno e dalla vicinanza dei mostri. Barocco, picaresco, drammatico e potentemente grottesco, Il tamburo di latta è considerato uno dei romanzi epocali del Novecento tedesco, una delle prove più alte della narrativa europea. Premio Nobel per la Letteratura 1999.
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