Aldo Busi racconta come il potere logora chi ha ancora qualcosa da farsi logorare: chi non ha niente, perché non ha avuto quel che conta, può avere anche tutto, tanto non gli restituirà quello che non ha mai avuto. Per questo è il solo a poter gestire il potere: perché è solo, e chi è abituato, e rassegnato, ad esserlo, non si scompone dinanzi alla solitudine a cui costringe, quel potere di fare che è il contrario della libertà di dire e quindi di essere questo o quello e cioè: qualcuno con un nome e quindi non un Innominato il quale, a differenza di un Innominabile che un nome ce l'ha eccome per quanto si provi a tacerlo, non ha una identità non essendo che una entità: grigia, come una cenere che cenere ci è nata, senza mai prima bruciare per qualcosa.
Prete fino al midollo ma condannato a vivere nelle vesti di un laico di potere con una moglie di rappresentanza, il Casto cede alla tentazione di entrare in una galleria d'arte moderna per cercare tra le fotografie della famosa serie di pretini di Giacomelli lo scatto di un passato che gli è stato rubato. Sconsigliabile, se c'è in giro uno snidatore di inferni come lo Scrittore Innominabile: perfino quei ricordi di un'infanzia affamata e struggente potranno rivelarsi una fiaba crudele. Quell'Italia del dopoguerra ancora capace di non mentire sul dolore c'è mai stata davvero? Nel secondo e nel terzo racconto, che Aldo Busi consegna alle stampe dopo quasi sette anni di astinenza dalla scrittura, l'Italia che troviamo è quella di oggi, dura con gli immigrati come lo sprovveduto D. che fa sesso a pagamento dove capita, durissima con chi non appartiene ad almeno una confraternita: tanto vale scrivere una brillante domanda di assunzione alla première dame dell'Eliseo in qualità di aspirante cervello in fuga.
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Anno edizione:2010
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