Non ho grandissima esperienza - neanche gran simpatia, a dirla tutta - per i western (fanno ovvia eccezione "Lo chiamavano Trinità" e "C'era una volta in America", sono di gusti difficili magari, ma non assenti). Sarà forse che lo spirito con cui approccio al "racconto di frontiera" è ineluttabilmente quello di un fuoco sotto il cielo stellato, tra ululati e bubulii, su un tronco reso meno scomodo da una tazza di borboun (stereotipi ne abbiamo?), ad ascoltare un vecchio baffuto che sotto il suo Stentson narra, con voce rauca e suadente, avventure di pionieri e pistoleri. Se questo ruolo lo lasciamo a Baricco, allora meglio evitare alcolici, o alla fine della storia si arriva con la coscienza in grave debito d'ossigeno, e non sono sicuro ne valga la pena. Se al falò si preferisce il tipì dello sciamano ed al malto i peyote, allora buon viaggio, ovunque pensiate di stare andando
Abel
È un ordigno sonoro, oltre che narrativo, quello che Baricco ci consegna con Abel, titolo che arriva dopo uno iato di otto anni dal suo ultimo romanzo. Eppure, si ha la sensazione che la storia di Abel Crow, sceriffo, condensi tutta una poetica che inizia a formarsi già all’esordio con Castelli di rabbia. In mezzo, una vita intera. Le prime pubblicazioni con Rizzoli, i riconoscimenti letterari, i programmi televisivi Pickwick e Totem e il ritorno in Feltrinelli, che nel 1994 aveva pubblicato Novecento, opera di confine fra teatro e letteratura con cui Baricco inaugura un modo di scrivere che in Italia non si era visto mai. Ma Abel è, prima di tutto, un’affermazione di intenti. Con questo suo “western metafisico”, Baricco riprende un genere letterario d’altri tempi e ci scaraventa in un Ovest immaginario, dove polvere e luce intercettano le geometrie dei proiettili, e dove la sincope di un colpo può racchiudere la vita e la morte di un uomo. In questo luogo “mitologico” siamo posti davanti a un’ultima frontiera, armati solo di una disordinata fiducia nella creatività umana e della timida bellezza di un gesto. Ed è nello sparo – un gesto tutto sommato piccolo, e breve, e rumoroso – che Baricco ci consegna l’esperienza del mistico: un invito a prendere la mira e premere il grilletto contro un orizzonte informe, dove coesistono ciò che siamo e quel che ancora non abbiamo davanti agli occhi. “Siamo già stati dove non siamo mai stati, e anzi, a dirla tutta, veniamo da lì.”
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Erman79 16 settembre 2025Un falò rivedibile
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Carla 10 aprile 2025Crudo
Io adoro Baricco, mi piace il modo in cui scrive: i suoi libri li finisco in niente. Abel è una storia a tratti un po' cruda, non posso dire che non mi sia piaciuto, ma sicuramente non è tra i miei preferiti dell'autore.
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Piccy89 04 marzo 2025Meglio altro
Sono un’estimatrice di Baricco dai tempi di Novecento, ho letto tutto di lui ma questa volta l’asticella l’ho dovuta abbassare: troppa retorica, poca storia a mio parere. Per il resto scritto come sembra da una mano scrittrice per eccellenza
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