Novanta pagine che racchiudono quattro anni, dal Natale 1916 a quello del 1920, di vita di una famiglia aristocratica russa. Li racconta l'anziana nutrice che ha vegliato su due generazioni tra i fasti ed ora osserva i barin in miseria, esuli in terra straniera. E non può essere che lei la voce della memoria; proprio perché anziana non riesce dimenticare quella vita e la patria. Sembra incredibile, ma è proprio lei, la serva, a rimpiangere i vecchi tempi e a non rassegnarsi al fato, come invece sembrano accettare i padroni alla fine, dopo un iniziale spaesamento metaforicamente alluso dal titolo al romanzo. L'autrice riesce ad evocare tangibilmente questa rovina familiare – specchio dello sconvolgimento sociale che ha travolto l'impero russo – nella descrizione della casa padronale. Fin dall'inizio sono descritti piccoli sgretolamenti a simboleggiare il lento allontanamento dei componenti del nucleo familiare, ma anche come se la vecchia società si sfaldasse, piano piano, fino al completo e subitaneo tracollo. Quasi la metafora di come i traumatici eventi della guerra civile russa non siano qualcosa di manifestatosi all'improvviso, ma solo la conclusione violenta di un processo carsico cominciato molto prima e sottovalutato dalla nobiltà. Sottovalutazione che trapela in modo evidente dalla frase "vi abbiamo frustrati troppo poco, a suo tempo!" rivolta da uno dei giovani Karin alla propria balia.
Come le mosche d'autunno
È lei, la vecchia nutrice Tat’jana Ivanovna, a tracciare il segno della croce sopra la slitta che porterà via nella notte gelata Jurij e Kirill che partono per la guerra. E sarà lei a rimanere di guardia alla grande tenuta dei Karin allorché la famiglia sarà costretta a fuggire, lei ad accogliere Jurij quando tornerà sfinito, braccato. Né si perderà d’animo, la vecchia njanja, quando dovrà camminare tre mesi per raggiungere i padroni e consegnare loro i diamanti che ha cucito a uno a uno nell’orlo della gonna. Grazie a quelli potranno pagarsi il viaggio fino a Marsiglia, e proseguire poi per Parigi. Nel piccolo appartamento buio dove vanno a vivere, Tat’jana, che è stata testimone del loro splendore, che li ha curati e amati per due generazioni con inscalfibile fedeltà, vede i Karin girare a vuoto, come fanno le mosche in autunno quando, finita la gran luce dell’estate, «svolazzano a fatica, esauste e irritate, sbattendo contro i vetri e trascinando le ali senza vita». Sembra che nessuno di loro voglia ricordare ciò che è stato; solo lei, Tat’jana Ivanovna, ricorda: e le manca quel mondo che è andato a fuoco sotto i suoi occhi, le mancano gli inverni russi, il fiume ghiacciato, la casa.Che racconti della Francia degli anni Trenta o, come in questo caso, di quella Russia che ha conosciuto da bambina, Irène Némirovsky non delude mai, e si conferma a ogni prova narratrice di grande potenza.
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Come le mosche d'autunno 02 febbraio 2025Si può dimenticare il proprio essere?
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Sarets 08 agosto 2023Carino
Libro molto breve e abbastanza scorrevole (come tutti i libri della Nemirovsky), la storia è carina ma non c'è una vera e propria trama, assomiglia più ad un racconto. Comunque nel complesso la recensione finale positiva.
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Pignetralepagine 12 aprile 2022
Attraverso questo racconto, Irène Némirovsky riesce a far avvicinare il lettore alla figura dell’esule, esperienza vissuta dall’autrice in prima persona. In quest’opera si narrano le vicende dell’aristocratica famiglia russa dei Karin dal punto di vista della vecchia balia, la njanja Tat’jana Ivanovna. Una donna che serve questa famiglia da due generazioni e da cui non riesce a separarsi nemmeno quando decidono di fuggire in Francia, in fuga da una Russia in pieno tumulto sovietico. A Parigi, però, quella famiglia che si era sempre contraddistinta per splendore e prosperità, si ritrova costretta a vendere gioielli, posate ed a vivere in luoghi angusti e soffocanti. Questo decadimento non si limita al declino economico ma anche ai loro costumi: presa dalla disperazione, Tat’jana non può far altro che trovare conforto nei ricordi di un passato in cui tutto appariva rispettabile ed in ordine. I membri della famiglia, però, non riescono a sostenere le rievocazioni del passato della vecchia balia perché ciò non consente loro di guardare avanti senza rimpianti e la zittiscono senza scrupoli. Questo fa sì che la donna continui a rivivere solo nella sua mente quegli anni felici finché non realizza che questa sua incapacità di adattarsi alla nuova situazione può essere placata solo con un gesto estremo. Racconto consigliato a chi è alla ricerca di una storia emozionante e carica di spunti di riflessione
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