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Breve diario di frontiera - Gazmend Kapllani - copertina
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Breve diario di frontiera

Descrizione


In questo "diario minimo" Gazmend Kapllani ci restituisce tutta la sofferenza degli albanesi che hanno attraversato il confine con la Grecia negli anni Novanta. Con mano leggera lascia che ci scorra sotto gli occhi la surreale volontà di dare un senso all'abbandono della terra natia, che in questo specifico caso è la fuga, il passaggio attraverso la cortina di ferro. In ogni capitolo, il doppio punto di vista - di chi è in Albania e di chi, esule, se ne allontana - mette in evidenza con sarcasmo, e senza fare sconti, la kafkiana condizione dell'Albania sotto il regime comunista: spie che controllano i programmi televisivi dei vicini, statue monumentali di Enver Hoxha, un dittatore troppo dittatore anche per i dittatori, e i bunker sulla spiaggia pronti per resistere a nemici che però non si presentano mai. Accurate, asciutte, intrise di humour nero, le descrizioni dell'assurdità e della rivolta alla tirannia compongono un quadro ironico e partecipe della condizione dell'esule, in cui il particolare dialoga con l'insieme e si fa narrazione universale, come in un dipinto di Bruegel. La "sindrome delle frontiere" inizia con l'abbandono del Paese e si sviluppa nella "nevrosi del successo", un successo che conferisce il diritto a restare nella nuova terra, per giungere a un'amara riflessione sui migranti di seconda generazione, condannati ad amare e odiare contemporaneamente il loro Paese.
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Dettagli

2015
3 dicembre 2015
220 p., Brossura
Mikró ĩmerológio synórōn
9788861101449
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Indice


Un brano dall'intervista a Gazmend Kapllani su La Lettura

Però il terrorismo è una realtà, i conflitti economici e sociali sono veri. IL suo rischia di essere un discorso buonista che si rifiuta di considerare ciò che succede.

«Al contrario. Noi tendiamo a vedere l'immigrazione come un incidente storico, un dato occasionale, provvisorio, e non l'ingrediente che ha permesso lo sviluppo delle società più dinamiche e avanzate. La migrazione impoverisce i Paesi di partenza, non quelli di arrivo. Io non credo alle società multiculturali con lingue diverse ma credo che l'assimilazione creativa sia possibile. Per questo ci vuole almeno lo ius soli per le seconde generazioni. Rischiamo la guerra civile tra nativi e immigrati».

[...]

Che cosa prevarrà? La chiusura o l'assimilazione?
«Siamo a un bivio. Possiamo costruire più muri e dare il via libera al neofascismo. Oppure scegliere più democrazia e un'Europa transnazionale. Personalmente non mi sento come i personaggi paranoici di tanti romanzi che finiscono per autodistruggersi, preferisco non tornare alla legge della giungla, credo che l'essere umano sia mimetico e impari dall'ambiente. Così meglio tratteremo gli immigrati oggi, più diventeranno domani gli europei democratici che noi stessi vorremmo essere».

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