È la linea uno della metropolitana milanese, quella che fa da filo, da bandolo nelle variegate storie raccontate da Alessandra Giordano. La vita sotto Milano, quella frenetica di chi prende il metro, poi un altro mezzo, poi un terzo per andare al lavoro, al mattino, e stessa storia per il ritorno a casa, la sera. Nessuno vede quello che fa l’altro, non c’è tempo. I rapporti sono saluti, qualche battuta, qualche occhiata. Oppure c’è Mauro Servini che si ferma un momento e si accorge di qualche appunto lasciato sul giornale per Anna, c’è la sua curiosità e il desiderio –un po’ avventato e ingenuo- di spostare la traiettoria della ragazza, di farle cambiar strada. Oppure c’è lo scrittore Ferruccio Parazzoli che studia –è inevitabile-, si “concentra” sulle persone che entrano ed escono dai vagoni: “non bisogna mai fidarsi degli scrittori perché hanno sete di storie: le traggono dallo sguardo delle persone, dalla vicinanza, dall’odore e in metropolitana siamo tutti lì…” O c’è qualche suonatore di fisarmonica, di violino o di chitarra, magari artisti dell’est Europa, come racconta Davide Rampello, presidente della Triennale. Inscenano uno spettacolo, il tempo di una-due fermate, qualche nota per qualche centesimo. Sulla uno di color marrone scuro e rosso lacca. “…E’ come se la metropolitana fosse l’ago che rammenda un tessuto che non conosciamo e percepiamo come sfilacciato.” Nel libro di Alessandra Giordano si leggono undici racconti brevi e nove interviste. Appunto a Rampello, a Perazzoli e ad altri protagonisti della scena milanese, abituati a percorrere i sotterranei (solo) per gli spostamenti che in superficie sarebbero più difficoltosi, arrivando a conoscerli come i propri locali di casa, i corridoi “si ha una proiezione domestica dell’arredo, dell’immagine” dice il presidente della Triennale, facendone una questione di ispirazione e di metafora “lavorare sotto significa lavorare dentro” considerata l’introspezione e l’immedesimazione degli attori (Quelli del Grock, Valeria Cavalli) che hanno bisogno del buio dei camerini, delle quinte, “il palcoscenico è uno spazio vuoto con il buio intorno”. E ancora Perazzoli che nell’intervista dice che la narrativa se non ha anche la dimensione verticale rimane piatta, quella linea che non solo “sale al sublime ma anche quella che scende all’inferno, all’abisso e niente di meglio del metro per scendere all’abisso”. Cadorna non è (solo) una fermata. È una storia fatta di tante storie che si raccontano fermandosi nel sotterraneo della linea uno per un momento, incrociando lo sguardo di chi è lì, frenetico o in attesa rassegnata, magari è lo sguardo di Alessandra o di Ferruccio o di Vivian o di Virginio. O di Anna.
Cadorna non è una fermata
Momenti metropolitani fotografati in racconti minimi, asciutti, dal tono talvolta ironico, altrove amaro, a tratti noir. Uno dopo l'altro sfilano i protagonisti di un carosello tutto milanese, di vicende che accadono in superficie da Bisceglie a Sesto, mentre sotto corre il treno della MM rossa a ricamare tracciati di vita. Accanto ai racconti nove interviste, raccolte dall'autrice, a personaggi protagonisti della scena milanese: don Virginio Colmegna - presidente Casa della Carità; Sergio Escobar - direttore del Piccolo Teatro; Vivian Lamarque - poetessa; Emilia Lodigiani - titolare casa editrice Iperborea; Fulvio Papi - professore emerito di Filosofia presso l'Università di Pavia, presidente Casa della Cultura; Ferruccio Parazzoli scrittore e operatore editoriale; Valeria Cavalli - Quelli di Grock; Davide Rampello - Presidente della Triennale; Giulio Iacchetti - designer, Compasso d'Oro 2009, che raccontano la loro Milano di oggi, la città in superficie e la città sotterranea.
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Anno edizione:2009
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EMA DOVANO 26 aprile 2012
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