Testo difficile, questo, veramente tosto per profondità e per linguaggio non proprio scorrevole. Sembra che l'autrice non abbia (volutamente) riletto il risultato finale del suo lavoro perché il libro è un susseguirsi convulso di ricordi, riflessioni, rivelazioni, frasi interrotte, pensieri che si rincorrono, appunti. Esattamente di trama romanzesca nel senso più commerciale c'è poco ma la potenza di questa cavalcata di parole, che non lasciano tregua e avvincono alle pagine, è travolgente e deflagra in più momenti. E' proprio la scelta del linguaggio, di struttura complessa e difficile da tenere sotto controllo senza perdere il filo del discorso, che costringe il lettore a leggere lentamente e, a volte, a tornare indietro per chiarire una frase o un'intera pagina. E così diventa obbligatorio riflettere sui temi e le figure umane, quasi mai gioiose e quasi sempre attraversate da uno spiedino doloroso, che vengono proposte. Se l'autrice avesse l'avesse reso più scorrevole, la riflessione su ciò che al giorno d'oggi è assolutamente al centro della nostra vita, volenti o nolenti, tra pubblicità, ristoranti, trasmissioni televisive, pubblicazioni, congressi, social e bombardamenti vari, non scatterebbe. Opera ripubblicata rispetto ad una edizione precedente, non semplice ma impegnativa.
Cibo
Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo, diceva Oscar Wilde. Oggi è diventato una delle principali occupazioni, ossessioni, manie; la cucina insieme all'ordalia igienista di ciò che fa bene o fa male sono le ronzanti colonne sonore delle nostre giornate. Prendere sul serio il cibo, però, è altra questione. Di certo, senza tanto proporselo, lo fanno Elena, la donna che si racconta in questo libro, e Daniela, la massaggiatrice alla quale si rivolge per impegnarsi a fondo in una dieta dimagrante e rimodellare il proprio corpo. Perché quello che condividono durante le loro sedute è qualcosa di profondo. A ogni piatto che nominano, a ogni ricetta o tradizione rievocata, riaffiorano un ricordo, un’amicizia, un amore, un rito di famiglia, una ferita. Le creme di piselli e i krapfen delle feste di Ulrike, anoressica per desiderio di perfezione, nella Monaco dell’infanzia e dell’adolescenza di Elena; i praghesi gnocchi di pane alla prugna di Ružena, obesa per allontanare l’incubo dei carri armati sovietici e il dolore dell’esilio; i gattò di Teresa, che rivendica cucinando la sua identità; i pranzi domenicali della nonna veneta e contadina di Daniela; fino alle aringhe salate che risvegliano in Elena la memoria dei kiddush del sabato nella sua famiglia ebraica, e soprattutto del padre scomparso troppo presto. Alla fine di un romanzo che mescola e unisce, come fa il cibo, individui e culture, Helena Janeczek si riserva ancora lo spazio di una riflessione su una tragedia dei nostri anni, il crollo delle Twin Towers, attraverso le storie dei cuochi che nelle torri lavoravano.
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Martina Peruzzo 19 ottobre 2019
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