Il romanzo di Peixoto è brutto. Perché Peixoto sa scrivere e crede che saper scrivere e avere una storia già narrata dalla vita - la morte di Francisco Lázaro - lo dispensi dal raccontarla per la prima volta. Perciò tutto il libro di Peixoto è attorno a una storia che c'è già stata e che è stata già raccontata. Peixoto ne fa commemorazione, rielaborazione, commento a tre voci ( ma è sempre la stessa voce: quindi o siamo di fronte a un fenomeno di reincarnazione di figlio in figlio in figlio o la famiglia Lázaro produce coscienze in serie, copie fedeli a se stesse più di qualsiasi porta o finestra che abbia levigato in falegnameria) , e tecnica inventiva di una scrittura che gira e rigira attorno alla fossa di un uomo morto che non corre più.
In questa cronaca familiare portoghese si alternano e sovrappongono le voci di un padre e di un figlio. Il primo, morto dopo una lunga malattia, ripercorre la propria esistenza, fatta di molte illusioni e molti fallimenti, e osserva, senza intervenire, il presente da cui ormai è escluso; il secondo rivive il passato e immagina il futuro mentre, ai Giochi olimpici di Stoccolma del 1912, partecipa alla maratona. Non avrà la gioia di conoscere il bambino che sua moglie sta per mettere al mondo: è destinato infatti a morire durante la corsa, stroncato da un'insolazione. Le parole di entrambi si mescolano nel ripercorrere un quadro atemporale e trascendente in cui l'esistenza si rivela mistero e solitudine. Al centro degli avvenimenti, la bottega di falegname di Francisco Lázaro che, tramandata di padre in figlio, nasconde una stanza tenuta sempre chiusa: è stipata di vecchi e malandati pianoforti, muti testimoni delle alterne vicissitudini della vita. Frammentario e solo apparentemente sconnesso, perché modellato sulla tortuosità del filo dei ricordi, lo stile virtuoso e musicale di Peixoto conduce il lettore nell'intimità più pudica e miserabile dei suoi personaggi, dove la tenerezza si scontra con la crudeltà, e la morte, nonostante tutto, concede spazio alla vita. Quella stanza chiusa, il cimitero dei pianoforti, è la metafora dell'esistenza, è quella zona d'ombra e di conforto in cui si recuperano gli stimoli necessari per andare avanti.
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Edizione Einaudi -L'Arcipelago Einaudi n. 172 - novembre 2010 - in COPERTINA FLESSIBILE ILLUSTRATA con alette informative. Copertina con lievi aloni causati dalla polvere ma integra e molto ben conservata. Etichetta precedente rivenditore sulla copertina posteriore. Pagine all'interno leggermente imbrunite fattore tempo ma volume in buonissime condizioni. DEDICA , FIRMA E NOME DI PROPRIETA' A PENNARELLO PUNTA FINE SULLA PRIMA PAGINA. Disponiibilità immediata e spedizione con corriere tracciata. . 263 Buono (Good) Edizione Einaudi -L'Arcipelago Einaudi n. 172 - novembre 2010 - in COPERTINA FLESSIBILE ILLUSTRATA con alette informative. Copertina con lievi aloni causati dalla polvere ma integra e molto ben conservata. Etichetta precedente rivenditore sulla copertina
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Salvatore Mosca 23 novembre 2016
Al cimitero dei pianoforti si ricorre per rimpiazzare pezzi mancanti di strumenti da aggiustare, e Peixoto racconta così della vita stessa, delle sue limitazioni e mancanze, di ciò che resta in sospeso con la morte e del frequente tentativo che i figli fanno per ricucire ferite lasciate aperte dai genitori. Un romanzo a più voci in cui il mistero del tempo che si dipana acquista i mille aspetti di un percorso particolare per ciascuno, ma in fin dei conti comune. Lo scrittore prende a prestito la storia vera di un maratoneta portoghese morto durante una gara e vi costruisce sopra un piccolo capolavoro. La scrittura si ritaglia in frammenti di un puzzle, in parte legati al respiro affannoso dell’atleta che ricorda, durante la sua ultima gara, i diversi “conti” aperti della sua vita, e ad ogni luogo che oltrepassa durante la corsa evoca un diverso istante, una diversa immagine, con una intensità poetica e una profondità davvero rare.
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