La città nel golfo - Boris Pahor - copertina
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Letteratura: Italia
La città nel golfo
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Descrizione


Nel 1943, nell'Italia occupata dai nazisti, uno studente in Legge sloveno Rudi - getta la divisa e si rifugia sui monti. Preso il treno per andare verso la sua città natale, incappa in un commando di tedeschi a cui sfugge miracolosamente trovando rifugio in campagna. È qui che viene accolto dalla diciottenne Vida, una ragazza sognante, pervasa da ideali forse ingenui ma profondi e da un desiderio irresistibile di andarsene, di cambiare l'orizzonte della sua vita. Rudi si sente molto attratto da lei, ma non tollera il fatto che Vida rinneghi la propria slovenità. Il senso di inferiorità culturale che la ragazza esprime con le sue scelte lo irrita profondamente e lo spinge a riaffermare, per contrasto, le proprie radici, rievocando episodi e aneddoti che hanno segnato la sua vita e quella della comunità slovena in Italia dopo la fine della Grande Guerra e l'avvento del fascismo. A confondere ancor di più sensazioni e sentimenti sopraggiunge una ragazza che Rudi aveva conosciuto in treno: Majda, una staffetta partigiana, incaricata di portarlo da suo fratello. Rudi entra così in contatto con la lotta armata. Ma è questa lotta, dalla cui fascinazione non riesce a liberarsi, che lo condanna all'isolamento. La sua vita non può concedersi all'amore, tutti i ruoli imposti dalla Storia non possono essere dismessi, ad ogni costo.

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La città nel golfo

Dettagli

296 p., Brossura
Mesto v zalivu
9788845277726

Valutazioni e recensioni

  • La città nel golfo è Trieste, e Pahor la descrive per la stragrande maggioranza del romanzo guardandola dall'esterno, con gli occhi di un giovane soldato sloveno che, pochissimi giorni dopo l'armistizio del '43, è pronto ad unirsi ai partigiani e si nasconde in una frazione della città, sul Carso. La presa di coscienza del protagonista su quello che può essere il suo ruolo all'interno della resistenza slovena è contornata da splendide e minuziose descrizioni della natura: è difficile amare e comprendere fino in fondo questo libro se non si è vissuto quello che ha vissuto Pahor con la sua gente, ma ciò non toglie che leggerlo è comunque un'esperienza unica e profondamente poetica.

  • La città nel golfo è Trieste, e Pahor la descrive per la stragrande maggioranza del romanzo guardandola dall'esterno, con gli occhi di un giovane soldato sloveno che, pochissimi giorni dopo l'armistizio del '43, è pronto ad unirsi ai partigiani e si nasconde in una frazione della città, sul Carso. La presa di coscienza del protagonista su quello che può essere il suo ruolo all'interno della resistenza slovena è contornata da splendide e minuziose descrizioni della natura: è difficile amare e comprendere fino in fondo questo libro se non si è vissuto quello che ha vissuto Pahor con la sua gente, ma ciò non toglie che leggerlo è comunque un'esperienza unica e profondamente poetica.

  • Renzo Montagnoli

    Conoscevo di fama Boris Pahor, questo centenario autore (ha 102 anni), nato a Trieste quando la città e tutto il territorio alle sue spalle faceva parte dell’impero austriaco, di nazionalità slovena, tanto che scrive indifferentemente, a seconda dell’estro, nella sua lingua originale o in quella italiana. Lo conoscevo di fama, ma non avevo mai letto nulla di suo, così ho deciso di ovviare a questa lacuna con un romanzo che, differenza di molti altri suoi, non parlasse dell’orrore dei lager, ma potesse rappresentare altre esperienze. È così che ho scelto La città nel golfo, dove la città è Trieste- Il libro narra di un giovane militare sfuggito dopo l’8 settembre 1943 alle retate tedesche e ritornato fortunosamente alla sua terra natia (il Carso); arrivato alla meta, evitando per un pelo la cattura, entrerà a far parte della resistenza armata, l’unico modo possibile per ambire alla libertà, che è l’unico valore per cui vale la pena di lottare. In parte autobiografico, in parte frutto di fantasia il romanzo di per sé si presenta di notevole interesse, perché riesce a esprimere i sentimenti di una nazionalità (quella slovena) prima oppressa dai fascisti e poi negata dai nazisti. Ci sono alcune pagine in cui è ben resa la condizione di sudditanza di un’etnia a un’altra etnia, e questo indubbiamente, insieme con òe pregevoli descrizioni del territorio, in cui l’osmosi con la natura raggiunge anche vertici poetici, sono per me sono le parti migliori del libro, che tuttavia presenta non pochi chiaroscuri, o come si usa dire luci e ombre. Fino a ora ho detto delle luci e ora veniamo alle ombre, che non sono poche. Innanzitutto la particolare lentezza del romanzo, un ritmo blando e quieto che talvolta cozza con certi eventi descritti che richiederebbero una velocizzazione, come se l’autore fosse incapace di una benché minima accelerazione; i dialoghi sono frequenti, ma non disturbano, anzi sono di particolare rilievo per i contenuti, ma non si può non osservare che certi concetti, peraltro condivisibili, sono propri più di persone mature e avanti con l’età e non di una ragazza diciottenne e di questo soldato fuggiasco, che studia sì Giurisprudenza all’Università, ma che con i suoi 24-25 anni non può aver maturato capacità di ponderazione ed esperienze che sono proprie (e non di tutti) di uomini molto più anziani. Quest’ultimo errore mi ha sorpreso e, se devo essere sincero, anche un po’ infastidito, perchè è imperdonabile per uno scrittore esperto e affermato come Pahor. Mi trova in accordo il desiderio di libertà e pure condivido la necessità di non negare e non soffocare la nazionalità, ma, pensandoci bene, mi è venuto il dubbio che Pahor sia un nazionalista, cioè un individuo che vede in testa a tutto e a tutti la propria etnia. Non è che nel romanzo sia espresso a chiare lettere, ma una parola qua, un’altra là mi hanno lasciato più che perplesso, e purtroppo ho appurato, per caso, che nella vita dell’autore c’è un episodio ben poco edificante: la vigilia del Natale 2010 lo scrittore, nel corso di un’intervista di un giornale sloveno, dichiarò che l’elezione a sindaco di Pirano di un medico di colore originario dell’Africa era un brutto segno, era la mancanza di una coscienza nazionale. In seguito, per controbattere le accuse di razzismo, rettificò, ma resta questa macchia. Certo, sono frasi dette da un uomo assai anziano, che in quanto tale tende sempre a radicalizzare, ma La città nel golfo è stato scritto una cinquantina di anni fa e questo mi lascia l’amaro in bocca, perché temo che Pahor, che in quanto sloveno ha subito una violenta, becera e insana opera di distruzione della sua cultura da parte del fascismo, nel riaffermare il suo diritto di rivendicare la sua nazionalità sia andato oltre, confondendo il sentimento nazionale con la superiorità nazionale in quanto tale. Il romanzo, comunque, merita di essere letto, tenendo conto però delle sue luci, ma anche e soprattutto delle sue ombre,

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Boris Pahor

1913, Trieste

Scrittore italiano, di madrelingua slovena. Nel 1940 viene arruolato nell'esercito italiano e mandato sul fronte in Libia. Dopo l'armistizio dell'otto settembre torna a Trieste, ormai sotto occupazione tedesca. Dopo alcuni giorni decide di unirsi alle truppe partigiane jugoslave che operavano nella Venezia Giulia. Nel 1955 descriverà quei giorni decisivi nel famoso romanzo Mesto v zalivu ("Città nel golfo"), col quale diventerà celebre nella vicina Jugoslavia. Testimone coraggioso dei crimini perpetrati dal fascismo e voce vibrante di una minoranza linguistica perseguitata, durante la seconda guerra mondiale, come si è detto, prese parte alla resistenza antifascista jugoslava. Tradito da una delazione finì deportato nei lager nazisti tra il gennaio...

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