un libro che non ha fretta....che non mette fretta....ma che piacevolmente ristora
Al centro di una piccola città sorge un manicomio: uno spazio in cui tutto sembra immutabile, separato per sempre dalla società e dalla storia. In un punto, però, le alte mura che circondano l'edificio si interrompono come per una dimenticanza. Da lì, attraverso una rete, fin da piccolo Beniamino osserva i matti, irresistibilmente attratto dai loro gesti, dal mondo misterioso che lasciano intravedere. È poco più che un ragazzo quando varca la soglia del manicomio in cerca di un impiego. L'Italia è in preda ai deliri imperialistici del fascismo, la tecnica dell'elettroshock fa i primi proseliti, ma nell'ospedale arriva un medico, il dottor Rattazzi, che prova altri esperimenti. Con coraggio e umiltà cerca di immedesimarsi nei matti, di entrare in contatto con le loro paure e trovare nuove vie per permettere a ciascuno di dare sfogo alla sua disperata ansia di libertà. La guerra e i bombardamenti fanno irruzione anche nella piccola città, ma offrono un'occasione: Rattazzi può sfollare i pazienti, portarli fuori dal manicomio. Nello spazio aperto della cascina del Pianoro, lontani da ogni controllo, spiccare il volo e vincere i propri fantasmi sembra finalmente possibile. E quando gli eventi lo richiedono, Beniamino trova la forza per fronteggiare ogni difficoltà e farsi guida della piccola corte che Rattazzi gli affida. Ma presto la follia più cupa e radicale, violenta e impietosa - quella della guerra - tornerà a lambire nuovamente l'equilibrio della comunità del Pianoro.
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Anno edizione:2010
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Formato:Tascabile
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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VINCENZO FANELLI 14 agosto 2012
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SERENELLA BERTUCCELLI 04 maggio 2009
Una scrittura densa che ti rapisce dalle prime righe, com’è nello stile migliore di Ugo Riccarelli, proiettando il lettore in un mondo, quello dei matti, che acquisisce un suo fascino del tutto simile a quello subito da Beniamino, uno dei protagonisti del libro, quando sin da piccolo li osservava rapito staccare i petali di rosa e mangiarli “con delicatezza e piacere, con la stessa sacralità con la quale un credente avrebbe accolto l’ostia benedetta all’altare”. Un’arte affabulatoria quella di Riccarelli suadente e vorticosa che non tradisce tuttavia la realtà e che ha in sé il gusto del passato, di quello in cui le cose e le persone si chiamavano con il loro nome.
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