«Forse le piccole storie e le grandi epopee non sono mai parallele, i destini delle minoranze sono ancora alla mercé delle politiche di un mercato sempre a caccia di una scappatoia», così scrive Lemebel in Folle affanno. Cronache del contagio (Edicola ediciones, marzo 2022) e questa potrebbe essere un’ottima frase, per introdurre le dinamiche che interessano i migranti haitiani di prima, seconda e terza generazione impiegati come bracciantato agricolo, nelle grandi piantagioni di canna da zucchero e risucchiati nei bateyes della Repubblica Dominicana, che dopo la crisi del mercato saccarifero ha deciso di svenderne la gestione ai privati, i quali hanno ampliato i terreni coltivati, fedeli – parafrasando Benitez Rojo – all’idea di un funzionamento meccanico di quel processo volto all’accumulazione di capitale, indifferente a qualsiasi forma di libertà individuale. È in questa realtà che, nel 2013, arriva per la prima volta l’antropologo italiano Raúl Zecca Castel; da qui nasce "Come schiavi in libertà", saggio che smonta quell’immaginario idilliaco occidentale, per cui l’isola di Hispaniola è un suolo insulare in cui convivono serenamente due stati differenti per lingua e per cultura, Haiti e la Repubblica Dominicana, sostituendolo con la realtà che si traduce in una storia di immigrazione e di speranze che si infrangono con la stessa facilità con cui i machete (che i braccianti pagano di tasca propria) spezzano le canne da zucchero. Con questo saggio, l’antropologo italiano offre al lettore un quadro completo, ordinato e dettagliato, che fotografa quella che è una vera e propria emergenza sociale.
Come schiavi in libertà. Vita e lavoro dei tagliatori di canna da zucchero haitiani in Repubblica Dominicana
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Anno edizione:2015
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Claudia Putzu 26 maggio 2022Un saggio necessario, figlio di una ricerca nata dalla più nobile sensibilità
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