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Il CONTAGIO Film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini (recensione di Claudio Ricciardi) Non avendo letto il romanzo di Walter Siti considero soltanto il film per quello che vedo. Una prima domanda che mi pongo è: se il film, come gli autori affermano “è uno spaccato di vita reale nella periferia degradata di una grande città come Roma, anche se appena accennata”, cosa lo differenzierebbe da un documentario? Se un documentario, per le scelte delle riprese che l’autore vuole far vedere perché anche gli altri sappiano, non è mai tutta la verità, anche una fiction raccontando la stessa realtà entrando all’interno delle immagini e raccontando attraverso i personaggi, esprime e dice molto di più della realtà stessa, evidenzia il pensiero dell’autore/i. Infatti le emozioni, gli affetti, le relazioni dei personaggi mettono in luce anche le realtà non coscienti del regista, che spesso sono poco evidenti anche a lui stesso. Così mi domando ancora: cosa ha spinto gli autori a rappresentare “un mondo” nel quale nei rapporti umani, in particolare nella relazione uomo-donna, esiste quasi esclusivamente sopraffazione, violenza, anaffettività e disinteresse e nella quale le donne sono sempre vittime? L’unica affettività si manifesterebbe solo in un rapporto omosessuale? Forse, anche se cieche, le donne cercano ancora, ma lo fanno là dove non c’è niente da trovare. Neppure l’amore di una madre può salvare un figlio perché è solo un abbraccio mortale che lo sottrae da ogni possibile separazione? Ancora una domanda: è questo ecosistema sociale degradato che distrugge le vite di chi lo abita o è la fondamentale patologia dei personaggi che lo abitano a renderlo tale? A renderlo specchio della loro condizione interiore? Forse entrambe le cose. L’infernale girone dantesco del condominio si morde la coda, si contagia come allude il titolo. Un peccato, ma ho poco apprezzato il riferimento a Pasolini (anche per dichiarazione degli stessi autori) rappresentato dalla figura del professore Walter, perché questa non era la realtà dello scrittore assassinato. La mia personale testimonianza, due giorni prima che lo trovassero trucidato, lo vedeva in Jaguar, con cappotto di cammello scendere alla stazione Termini e fermarsi a cercare ragazzini minorenni di borgata da pagare e corrompere. La sua realtà di ricco intellettuale borghese, tanto criticata, si permetteva di comprare poveri proletari, illudendosi di difenderli con la sua opera letteraria. In realtà la sua patologia li violentava. Nessuna affettività come nel film dove il personaggio di Walter, lo scrittore molto ben rappresentato da V. Salemme, non si approfitta di nessuno ma vive i propri sentimenti anche da vittima dell’ indifferenza di un compagno adulto forse interiormente restato ancora minorenne. Un rapporto ancora sbilanciato perché Marcello si vende e lo cerca per soldi senza particolare interesse alla relazione così come con la moglie che neppure vede quando rientra in casa. Il film si trasforma nella seconda parte uscendo da una situazione claustrofobica ben rappresentata; l’aspetto di trasformazione della realtà nel senso delle immagini che parlano da sole, diviene più evidente e dinamico. Chiara vede il marito Marcello come vorrebbe che fosse e con immagini rallentate sembra lo incontri così come forse era stato in passato, ma subito si rende conto che lui non c’è più. Sarà questa la causa finale della distruzione dell’immagine interna di Chiara in ospedale per una grave depressione. Altra scena da apprezzare è la lapidazione di Marcello, anche questa al rallenty; i sassi che lo uccideranno somigliano alle frecce del S. Sebastiano. Più che altro sarà una vittima di se stesso e del tradimento dell’amico. Una scena forte che evidenzia l’orrore del tradimento, del disinteresse e dell’egoismo di un’amicizia negata e violentata. Anche Mauro, l’amico traditore, perduto nel contagio degli eventi impossibili da contrastare, affronta l’inferno della danza dove festeggiano il progetto speculativo e mafioso. In questo progetto, ammantato di falsa umanità, si definisce violentemente la sua condizione esistenziale. Un falso movimento per uscire da una condizione senza nessun cambiamento interiore. Assistendo alla morte violenta dell’amico, dalla quale vorrebbe fuggire, si conclude una realtà di cui lui stesso è il maggiore responsabile. Niente mai ha a che vedere con un lavoro faticoso ed onesto. Nessuno lavora, tutti vivono in un mondo che continuamente li contagia, ma dal quale si lasciano contagiare senza alcuna speranza. Uscirne per riscattarsi con gli stessi meccanismi violenti mostra ancora una volta una società come madre assassina che soffoca i propri figli. Ma è la realtà interna dei personaggi che rispecchia il mondo esterno, entrambe si alimentano in un gioco infinito senza uscite se non attraversando un carcere. Un’altra prigione. Una denuncia di una realtà o una visione senza speranza?
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