Testo difficile, talvolta un po’ ripetitivo, ma senz’altro illuminante su concetti filosofici per lo più sconosciuti alla nostra cultura: il mondo delle Forme immaginali, quale “luogo” di passaggio per e dal mondo terrestre, in una ciclicità che prelude alla Resurrezione. Viene illustrato il pensiero iranico che si è formato a partire da Sohravardi (XXII sec) e si è poi sviluppato fino alla scuola Shaykhita del XIX sec, in un excursus che chiarisce e dipana alcuni temi chiave dello sciismo iraniano: il mondo di Hurqalya, delle forme sottili, che racchiudono l’essenza del mondo empirico e sono però ben visibili solo all’occhio contemplativo dell’asceta, del sufi. Il testo è diviso in due parti (della stessa lunghezza): nella prima è racchiusa la sintesi storico-culturale svolta dall’autore, nella seconda è raccolta l’antologia di 11 testi di altrettanti pensatori, tra i quali gli stessi Sohravardi e Ahsa’i. Un testo consigliato a lettori davvero interessati. Stimola ulteriori approfondimenti, difficili però da reperire in italiano.
Corpo spirituale e Terra celeste. Dall'Iran mazdeo all'Iran sciita
Quando apparve nella sua prima versione (1960), questo libro suonava come un tentativo sconcertante di collegare e articolare categorie del remoto Iran mazdeo, cifrate e ostiche, con altre dello sciismo, di cui ben poco si sapeva. Oggi si può dire di Corpo spirituale e Terra celeste che è stato un vero punto di partenza, ma non già soltanto per l’audacia della prospettiva storica. Essenziale è qui l’elaborarsi di una concezione dell’immaginazione a cui poi molti hanno attinto, per la sua grandiosità e perspicuità. Qui si traccia per la prima volta una «carta dell’Immaginale». Per intendere la novità dell’impresa, basti pensare che la parola stessa «immaginale» è stata introdotta da Corbin. E di una parola nuova c’era davvero bisogno da quando, in Occidente, «tra le percezioni sensibili e le intuizioni o le categorie dell’intelletto il luogo era rimasto vuoto». Si trattava appunto del luogo della Imaginatio vera dell’alchimia, della immaginazione attiva, di quell’«intermondo tra il sensibile e l’intelligibile» la cui «scomparsa porta con sé una catastrofe dello Spirito». Quel luogo della conoscenza, e di una conoscenza a noi preclusa, è l’«ottavo clima» dove appaiono le città mistiche di Jābalqā, Jābarsā e Hūrqalyā. Nessuna civiltà è stata pari a quella iranica nello sviluppare questa «geografia immaginale». Dai mirabili paesaggi, puri archetipi di una natura visionaria, sino alle pagine esaltanti di Sohravardī o di Mollā Sadrā, l’Iran ci ha offerto la guida più dettagliata alla «Terra di Hūrqalya», «mondo attraverso cui si corporizzano gli spiriti e si spiritualizzano i corpi», luogo della realtà epifanica. Sino a questo libro di Corbin ben poco era filtrato di tali tesori – e la seconda parte dell’opera ci offre anche una doviziosa antologia di testi iranici su questi temi, per la prima volta tradotti. Ma l’effetto sovvertitore di Corpo spirituale nel suo insieme è dovuto non soltanto alla novità dei materiali. Qui assistiamo, innanzitutto, al dispiegarsi della prospettiva di Corbin. L’autore stesso la definiva «fenomenologica», in contrasto con ogni storicismo. Ma, più che a termini occidentali, occorrerebbe riferirsi, per definire il procedimento di Corbin, a quella «ermeneutica per eccellenza indicata dalla parola ta’wīl, che letteralmente significa “ricondurre una cosa alla sua fonte”, al suo archetipo, alla sua realtà vera». Qui il ta’w īl è al tempo stesso l’oggetto del libro e il metodo del suo autore, come anche dovrebbe diventare il percorso di ogni lettore. Così ci avvicineremo finalmente all’Albero dell’Immaginazione, di cui dice il Corano che può essere «l’Albero benedetto» o «l’Albero maledetto». «L’immaginario può essere innocuo; l’immaginale non lo è mai».
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<p>Prima edizione italiana. Collezione "Il ramo d'oro" - Brossura editoriale con bandelle, 335 pagine con 3 tavole a colori fuori testo. Dorso brunito e piccole abrasioni ai margini di copertina, interno pulito e paginazione compatta; buona-ottima copia, probabilmente mai letta, di un testo non comune -- Quando apparve nella sua prima versione (1960), questo libro suonava come un tentativo sconcertante di collegare e articolare categorie del remoto Iran mazdeo, cifrate e ostiche, con altre dello sciismo, di cui ben poco si sapeva. Oggi si pu&ograve; dire di Corpo spirituale e Terra celeste che &egrave; stato un vero punto di partenza, ma non gi&agrave; soltanto per l'audacia della prospettiva storica. Essenziale &egrave; qui l'elaborarsi di una concezione dell'immaginazione a cui poi molti hanno attinto, per la sua grandiosit&agrave; e perspicuit&agrave;. Qui si traccia per la prima volta una &laquo;carta dell'Immaginale&raquo;. Per intendere la novit&agrave; dell'impresa, basti pensare che la parola stessa &laquo;immaginale&raquo; &egrave; stata introdotta da Corbin. E di una parola nuova c'era davvero bisogno da quando, in Occidente, &laquo;tra le percezioni sensibili e le intuizioni o le categorie dell'intelletto il luogo era rimasto vuoto&raquo;. Si trattava appunto del luogo della Imaginatio vera dell'alchimia, della immaginazione attiva, di quell'&laquo;intermondo tra il sensibile e l'intelligibile&raquo; la cui &laquo;scomparsa porta con s&eacute; una catastrofe dello Spirito&raquo;. Quel luogo della conoscenza, e di una conoscenza a noi preclusa, &egrave; l'&laquo;ottavo clima&raquo; dove appaiono le citt&agrave; mistiche di Jābalqā, Jābarsā e Hūrqalyā. Nessuna civilt&agrave; &egrave; stata pari a quella iranica nello sviluppare questa &laquo;geografia immaginale&raquo;. Dai mirabili paesaggi, puri archetipi di una natura visionaria, sino a
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Edizione:2
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Andrea Franchi 31 maggio 2020
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