Le cuoche che volevo diventare. Ventuno grandi donne in cucina
Banale, ma vero: la parola chef non ha femminile. Ma se nessuna donna è chef, allora tutte sono cuoche: stellate o no, si raccontano alla pari attraverso il cibo che cucinano. In un mondo della ristorazione tutto al maschile stelle, forchette, cappelli e allori non salvano nemmeno Nadia Santini o Carme Ruscalleda dal sospetto di trascurare la famiglia per la mania di cucinare. C'è Amina, che parla solo arabo, eppure è lei che insegna all'autrice la cucina marocchina a Fez; c'è Beth Partridge, che cucina italiano in un ristorante di Chicago, sognando l'Italia dove non è mai stata; c'è Margherita, maestra a Modica di quel che suo figlio, lo chef Carmelo Chiaramente, definisce "la cucina imperfetta delle madri". C'è Sadja Masshour, insegnante di francese fuggita dall'Afghanistan che ora cucina mantu e ashak nel suo ristorante a Parigi. C'è Jody Williams, che in Italia era "l'americana" ma a New York fa la cucina che ha imparato dalle casalinghe italiane. E proprio perché questo libro vuole essere fedele al gap linguistico per cui nessuna donna è chef, vi si trovano raccontate e ritratte anche le cuoche domestiche, maestre anonime di gesti e virtù, con le loro ricette più riuscite e i loro trucchi del mestiere. Un viaggio da Modica a Fès, da Barcellona a New York, da Lione a Samoa nel mondo della cucina al femminile.
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Anno edizione:2008
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